Il palloncino rosso – menzione speciale al concorso 88.88 Yowras

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La giornata era particolarmente rigida, un freddo venticello s’insinuava tra i palazzi facendo dondolare le luminarie natalizie.

Stavo girovagando per la città seguendo il flusso dei miei pensieri, senza meta, osservando tutto ciò che mi capitava davanti. Che fossero uomini, donne, cani o palazzi, non aveva importanza. Svuotavo la mente dai pensieri e nel contempo la riempivo di nuovi in un flusso continuo e incontrollabile.

Girando l’angolo di un palazzone rosso sangue mi trovai all’ingresso di una piazza sconosciuta, in una città mai vista, dove una grande fontana simile a un fagiolo ne dominava il centro. Intorno a essa c’erano diverse persone imbacuccate nei cappotti e impegnate a parlare o fare altro con i loro smartphone. Superai la fontana per infilarmi in un vicolo largo appena tre metri, pieno di piccole finestre dall’aspetto vecchio e malridotto, alcune persiane erano appese precariamente per una delle cerniere come spade di Damocle pronte a sfondare il cranio di qualche passante. Restai al centro del vicolo e aumentai il ritmo per uscire il più in fretta possibile da lì.

Per tutto il cammino non incontrai nessuno, eppure di gente in giro ne avevo vista parecchia. Sicuramente se non fosse stato giorno sarei tornato indietro. Uscii dal budello deserto che s’immetteva in un grosso viale molto trafficato, taxi e tram passavano veloci sfidando i pedoni che cercavano di attraversare la strada. Svoltai a destra senza un motivo preciso, sentivo di doverlo fare, e continuai a camminare.

Più avanti mi resi conto che stavo seguendo il vento.

Altro bivio, altra deviazione sempre dietro alla corrente, era magnetica e mi stava portando dove solo lei sapeva. Giunsi in un piccolo spiazzo semicircolare e persi quel soffio, in quel posto non si muoveva un granello di polvere e non c’era anima viva. I palazzi molto vecchi che lo circondavano erano alti dai tre ai quattro piani, separati da altre viuzze che portavano chissà dove. Era strano che lì fosse tutto calmo, era fuori dalla mia logica. All’improvviso mi sentii tirare per una manica del mio giubbotto grigio. 

«Signore, mi aiuta?»

Un ragazzino, di circa sei o sette anni al massimo, mi guardava dal basso in alto con occhi tristi.

«Se posso… volentieri.» risposi sorridendo e notando la felpa azzurra, i jeans e le scarpe da ginnastica malridotti.

«Devo riprendere il palloncino, vede si è incastrato lassù.» indicò un globo rosso intrappolato tra una gronda e un balcone.

«È un po’ in alto, sarà difficile riprenderlo».

«Ma mi serve…»

Quando mi voltai verso il bambino notai le lacrime, quel palloncino era un capriccio o aveva una qualche importanza speciale?

«Per favore…» gli occhi nocciola mi fissarono «è importante…»

Mi avvicinai al muro, molti anni prima doveva essere stato di un colore prossimo al verde, ora era scrostato, sporco e pieno di muffa. Calcolai che la distanza dalla terra al balcone era all’incirca di sei metri e afferrai il tubo in rame sperando che i fissaggi resistessero ai miei settantotto chili.

Iniziai la scalata puntando i piedi sul muro incurante di lasciare eventuali impronte in mezzo alla muffa, guadagnai senza troppa difficoltà i primi metri, infine arrivai al sesto. Il palloncino era a distanza di un braccio e lo presi per il filo accorgendomi di un pezzetto di carta ripiegato legato poco più su.

Cominciai la discesa e a un metro e mezzo da terra mi lasciai cadere atterrando oltre il marciapiede. Quel piccolo volo mi ricordò di non essere più così in forma.

Il bambino si avvicinò immediatamente col braccio destro teso e la mano aperta.

«Grazie!» un enorme sorriso illuminò il visetto magro «Me lo restituisce?».

«Tieni…» il bambino strinse la mano intorno al cordino «non fartelo scappare di nuovo, eh?».

«Ma deve volare via!» fissò il cielo azzurro «È il suo compito».

Inizialmente non capii ciò che stava dicendo.

«Quindi vuoi che voli via?».

«Certo! Solo che deve andare in alto, in alto, in alto!».

Mi prese nuovamente per la manica costringendomi a chinarmi.

«Vedi questo bigliettino, signore?».

Feci un segno di assenso col capo.

«È un messaggio per Gesù, gli chiedo se per Natale fa ritornare il mio papà e la mia mamma».

Il bambino abbassò lo sguardo a terra.

«Mi mancano tanto, ma la nonna dice che sono in cielo e non possono tornare. Però, se ci provo, forse Gesù mi ascolterà».

Si spostò al centro dello spiazzo, guardò il cielo e lasciò andare il palloncino che si alzò velocemente diventando piccolo in pochi secondi.

Soddisfatto, tornò da me.

«Grazie signore, ora devo andare che la nonna si preoccupa.» e corse via in una delle viuzze laterali.

Per tutto il tempo non ebbi il coraggio di distruggere il suo sogno.

Così ripresi il mio cammino con il bambino del palloncino rosso nella mente e la convinzione che il vento fosse stato un messaggero.

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