VITA AL BUIO

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La notte si era mostrata proficua, la luna piena rischiarava la campagna e il suo zaino era quasi pieno. Mancava solo una visita, così amava chiamarle Andrea, e poi si sarebbe goduto un po’ di riposo.
La casa era di due piani e di un colore scuro, l’esterno era avvolto nella penombra e la recinzione era bassa. Andrea non badava all’aspetto esteriore, nel tempo aveva imparato che i tesori sono dove meno te lo aspetti.
Scavalcò facilmente la recinzione, nessun cane gli si parò davanti, niente di antifurto a proteggere l’abitazione. In pochi secondi valutò che tentare di scassinare la porta sarebbe stato più facile che prendersela con le persiane a incasso.
Pochi secondi di lavoro e la serratura cedette sotto le sue mani esperte, la porta girò lentamente sui cardini producendo un acuto, ma appena percettibile, cigolio.
Andrea aveva gettato nel cesso la sua laurea in ingegneria molti anni prima, quando si era reso conto che non avrebbe avuto futuro come ingegnere, che quel foglio di carta conquistato con fatica e amore non lo avrebbe reso felice in un posto come l’Italia. In breve tempo imparò a usare le sue qualità tecniche per guadagnare in modo alternativo, diventò un topo d’appartamento evoluto.
Appena dentro si tolse le scarpe, anche nel buio più totale si accorse del perfetto ordine e di larghi spazi tra i vari mobili.
L’abitazione sembrava deserta.
Iniziò a muoversi lentamente, rovistò in quello che era un soggiorno utilizzando la sua piccola torcia applicata sul lato sinistro della testa. Solitamente la gente tende a nascondere oggetti di valore nei posti più strani, vasetti con lo zucchero dentro, rotoli della carta igienica, vecchie padelle e cose simili. Molti anni prima aveva trovato un anello con diamanti in una scatola vuota di cibo per gatti.
Solo che lì non c’erano cose che potessero essere nascondigli segreti.
Lasciò perdere i cassetti e le ante passando alle mensole del mobile TV, la luce a LED bianca mostrò l’assenza quasi totale di soprammobili, eccetto per un pupazzo a forma di pesce palla e tre fotografie. Tutti gli altri ripiani erano vuoti e cominciò a pensare di aver fatto un buco nell’acqua.
Osservò bene le immagini che mostravano una donna giovane, sorridente e attraente, ma con lo sguardo che era una via di mezzo tra tristezza e rabbia.
Determinò che doveva avere circa trent’anni.
Il soggiorno non aveva portato nulla di buono e si mise a perquisire la cucina, ma non trovò barattoli del tesoro, scatole di diamanti o bistecche d’oro, anzi tutto lo portava a considerare che la casa fosse abitata di rado.
Guardò l’orologio e aveva già superato i venti minuti, tralasciò il bagno e iniziò a salire le scale. A sinistra c’era un corrimano, lo sentì sfiorargli l’anca ma la scala gli era sembrata più larga, puntò la torcia e seguì il profilo accorgendosi che era più sporgente del normale, in più era dotato di tacche in rilievo e tutte alla stessa distanza tra loro. Anche i gradini li sentiva strani sotto i suoi piedi scalzi. Ne fece uno alla volta, con calma, e si ritrovò in un piccolo disimpegno con tre porte, tutte aperte, dove identificò il bagno sulla sua sinistra, una camera proprio davanti e un’altra a destra. Convinto di essere solo, abbandonò le precauzioni e scelse la stanza a destra.
Fece danzare la luce lungo il perimetro notando una porta finestra di legno scuro, una scrivania sicuramente bianca, una libreria con diversi volumi, una chaiselounge con la seduta in tessuto scuro e un mobiletto basso con sopra un piccolo stereo. Si avvicinò allo scaffale e passò diversi minuti a controllare tra ogni libro senza trovare nulla, poi fu la volta di alcuni cassetti vuoti e del mobiletto con lo stereo.
Niente da fare, sembrava non ci fosse nulla da poter portare via.
Passò alla seconda stanza, era la camera da letto.
Ed era occupata.
Una sagoma era ben distinguibile anche al buio rischiarato dalla luce della strada che filtrava dalle persiane.
Non era nuovo a lavorare con gente in casa, era in quei momenti che si godeva il sapore dell’adrenalina, che sentiva il tremolio incontrollato delle mani, i peli che si sollevavano sulle braccia; solo, che trovarsi davanti alla ragazza della foto, lo faceva sentire un vigliacco guardone.
Per alcuni secondi restò interdetto sull’ingresso, poi qualcosa scattò in lui e decise di avvicinarsi al letto. Puntò la luce sulla sagoma, i capelli biondi e corti spiccavano sulla federa scura del cuscino, le spalle strette erano coperte da una vestaglia che sembrava di un giallo pallido e la ragazza era raggomitolata in posizione fetale.
Illuminò il viso ammirandone i lineamenti morbidi degli zigomi leggermente pronunciati e le labbra sottili. Non indossava ne orecchini ne anelli e comunque lui aveva una regola precisa, mai tentare di sfilare oggetti preziosi alle persone.
Andrea decise che doveva andarsene da lì, era passato già troppo tempo, osservò ancora la donna e si rese conto che era totalmente nelle sue mani. Un pensiero spaventoso gli attraversò la mente, avrebbe potuto farle ciò che voleva e chissà in quanti posti nel mondo era già successo. Rabbrividì immaginando scene che non credeva poter pensare e la considerazione di se stesso vacillò come non mai. In nessun caso era arrivato a far del male alle persone, ma si chiese come avrebbe agito e la risposta fu terrificante.
Distolse lo sguardo dalla ragazza e uscì dalla stanza, scese al piano terra si infilò le scarpe, recuperò lo zaino e tornò all’aria aperta.
I cattivi pensieri continuavano a tormentarlo, respirò a fondo, riempì i polmoni fino quasi a farli scoppiare, ma quella sensazione non passava.
Il suo lato oscuro era venuto a galla, all’improvviso, a ricordargli che l’essere umano è fondamentalmente un animale bastardo e assassino.
Decise che doveva farsi perdonare per essersi introdotto nell’abitazione e prese il nome dalla targhetta del campanello, in giornata avrebbe pagato la riparazione della serratura e aggiunto un regalo. Sentiva che doveva fare così.
I pensieri continuarono a tormentarlo per buona parte del mattino, alle undici era dall’altra parte della strada con un giornale in mano in attesa dell’arrivo del fabbro.
Il fioraio sarebbe arrivato a breve e lui voleva vedere la reazione della ragazza davanti alle rose e al biglietto. Si sentiva ridicolo nascosto dalle notizie locali e si chiedeva come potesse essere così infantile; lui che viveva di notte e non aveva bisogno di nessuno. Il sole arrivò dal suo lato facendo sentire la sua potenza estiva, lo stomaco iniziò a contrarsi per la necessità di cibo, i fiori arrivarono.
Il mazzo di rose gialle e rosse era corposo, talmente tanto che l’omino della consegna sembrava un nano. Andrea, d’impulso, attraversò la strada fermandosi poco distante, Teresa aprì la porta affacciandosi al giorno in una semplicità disarmante. Indossava dei pantaloncini corti blu, una t-shirt bianca e infradito. Gli occhi scuri non tradirono alcuna emozione alla vista dei fiori, il fattorino consegnò anche il biglietto di scuse, ma Teresa non lo considerò nemmeno.
Il furgone delle consegne si allontanò e Andrea passò davanti alla casa con noncuranza convinto che Teresa fosse rientrata.
«Ehi! Queste rose non bastano a farti perdonare.»
Andrea sentì tutti i peli del corpo sollevarsi al passaggio di un brivido gelato, lei sapeva di lui.
«So che sei qui. Ho riconosciuto il tuo odore.»
Andrea non capiva, tornò indietro e guardò oltre il cancelletto verso la porta d’ingresso, Teresa era sulla soglia con le rose in mano e i suoi occhi lo fissavano quasi oltrepassandolo.
«Questa notte potevi farmi del male, ma so che sei una persona buona, lo percepisco e me lo hai dimostrato.» la ragazza abbozzò un sorriso «Aiutami con i fiori e non ti denuncio.»
«Io…» Andrea tentennò sull’ingresso del cancello.
«Che male potrei farti io? Ormai casa mia la conosci.»
Teresa non si muoveva dalla sua posizione, Andrea capì che c’era qualcosa di strano nel suo sguardo fisso e immutevole, qualcosa di tenero, per certi versi.
Meccanicamente e irrigidito si avvicinò alla donna, lento e con il cuore in gola varcò la soglia dell’abitazione mentre Teresa gli faceva strada con sicurezza.
«Questa notte ero sveglia, ho il sonno leggero io. In cucina dovrebbe esserci un vaso di vetro o qualcosa di simile, lo riempiresti d’acqua?»
Andrea eseguì il lavoro senza parlare e portò tutto in soggiorno, dove Teresa era ancora in piedi ad attenderlo annusando le rose.
«Sei un tipo silenzioso, invece a me piace parlare. Non restare lì, avvicinati vorrei sapere come sei fatto.»
Andrea capì il motivo dello sguardo strano e si avvicinò.
«Ecco…»
Teresa gli passò le dita sul viso accarezzandolo con i polpastrelli.
«Viso allungato, naso importante, zigomi rotondi, qualche ruga sulla fronte, niente barba.» la ragazza sorrise.
«Mi dispiace di essere entrato qui stanotte. Più tardi passerà il tecnico per cambiare la serratura.»
«Ah, già. Ora è rotta… Hai una bella voce profonda, hai mai provato a cantare invece di rubare nelle case?»
«Da quanto tempo sei… beh, insomma, cieca?»
«Da quando ero molto piccola, mi ricordo ancora quanto fosse bello vedere.» Gli occhi scuri di Teresa vagarono a caso per la stanza «poi, all’improvviso, tutto diventò buio. Da un giorno all’altro. Gli occhi ci sono e funzionano, ma manca il collegamento col cervello. Così dicono i medici.»
Andrea pensò ai suoi vecchi studi di dieci anni prima, quando ancora sperava di poter cambiare il destino delle persone creando protesi intelligenti. Un sogno che aveva deciso di nascondere in un cassetto e che avrebbe fatto meglio a non lasciar marcire.
«Io, in realtà, sono laureato….» Andrea iniziò a raccontare i suoi ultimi anni, delle sue aspettative tradite, del suo mestiere di ladro. Teresa lo ascoltò finché entrambi si accorsero di avere fame e che erano le due del pomeriggio. Riuscirono a farsi recapitare due pizze continuando i loro racconti di vita mentre la serratura veniva sostituita. Andrea si assicurò che il lavoro fosse stato svolto con perizia e poi pagò il tecnico.
Teresa lo convinse a sperimentare come lei vedeva il mondo, iniziarono col riconoscere degli oggetti e Andrea ne sbagliò parecchi, poi fu la volta delle persone. Il viso di Teresa era morbido, sentì le imperfezioni della pelle, la protuberanza di quello che poi scoprì essere un neo, il contorno delle labbra. Tutto era diverso e non esistevano i colori.
«Beh, io ora devo andare.» Andrea osservò la reazione di Teresa ma non riuscì a interpretarla «è stato bello e ho imparato molte cose.»
«Lo è stato anche per me. Quando vuoi chiamami.»
«Certo…» Andrea chiuse gli occhi e toccò il viso di Teresa «Arrivederci.»
«Io, di solito, dico a “ritoccarci”.»
Andrea si allontanò dalla casa di Teresa sapendo che ci sarebbe tornato a breve, perché i tesori sono dove meno te lo aspetti.

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