VECCHIA STAZIONE – Concorso “I Sapori del Giallo 2018”

Tempo di lettura stimato in: 16 minuti

Questo racconto ha partecipato al concorso “I sapori del Giallo” ed è il mio primo sul genere giallo. Il concorso si è concluso pochi giorni fa e mi sono classificato quarto a pari merito con gli altri finalisti che non sono saliti sul podio. L’ho spedito ugualmente anche se non mi convinceva molto, ma non c’era più tempo per effettuare modifiche o  correzioni.


Hotel La Vecchia Stazione, ore 19.30


Elisabetta stava cercando di sondare i pensieri di Jennifer, ma la corpulenta personal trainer era un libro chiuso da mesi. Non ricordava di aver mai visto un atteggiamento di quel tipo da lei. Il fatto era che, pur essendo comprensiva e orientata a tutelare i propri dipendenti, doveva liberarsi di Jennifer a causa delle continue lamentele dei clienti.

Non aveva scelta, l’albergo che dirigeva non navigava in buone acque da parecchi mesi e non poteva permettere che anche i dipendenti diventassero un problema.

«Allora, mi vuoi spiegare che ti sta succedendo?» gli occhi azzurri di Elisabetta scrutavano quelli verdi di Jennifer.

«Non c’è niente da spiegare, sono solo femmine del cazzo gelose dei propri mariti.» la ragazza stava torturando lo schienale in tela della sedia su cui non si era voluta sedere.

«Si lamentano che sei troppo dura, che le tocchi commentando sul loro aspetto fisico e che ci provi con i loro uomini.» Elisabetta controllò il display del cellulare che vibrava sul piano in vetro della sua scrivania, non aveva intenzione di parlare con suo fratello. Non in quel momento.

«Sono solo bugie, casomai sono loro che ci provano con me.» Jennifer si passò le dita, dalle unghie lunghe e tinte di azzurro, tra i capelli castani e ricci. Le arrivavano all’altezza dei glutei.

«Sono settimane che ne parliamo e non vuoi dirmi che problema hai.» Elisabetta aprì un cassetto e ne tirò fuori un foglio bianco «Non ho mai licenziato nessuno da quando guido questo albergo, ma non mi lasci altra scelta.» firmò il foglio e lo girò con delicatezza verso Jennifer porgendole la penna «E’ molto triste per me, oltre a essere una sconfitta. Hai una settimana per liberare la tua stanza.» dal cassetto estrasse altri due biglietti «Questo assegno è per i primi tempi che sarai senza occupazione e questa è una lettera di presentazione.»

«Così pensi di avere la coscienza a posto?» gli occhi di Jennifer fissavano l’assegno senza espressione.

«Tu non vuoi capire.»

«Te ne pentirai… cancella il mio numero ex amica.» Jennifer raccolse la lettera e l’assegno.

Elisabetta si alzò dalla sedia e riuscì a bloccare la ragazza per un braccio «Io sarò sempre qui, se avrai bisogno.»

Jennifer si liberò con facilità e uscì in fretta dalla stanza.

Elisabetta controllò l’orologio appeso alla parete opposta, segnava le diciannove e cinquantadue minuti. Ne aveva otto per raggiungere la piscina, cambiarsi e dedicarsi al suo sport preferito per un’ora. Sarebbe stata sola e lontana da tutti i problemi con cui doveva combattere da parecchi mesi.

Raccolse le sue cose, recuperò la borsa dall’armadio in mogano e uscì dall’ufficio, nell’atrio notò un uomo che non sarebbe dovuto trovarsi lì, ma avrebbe gestito la cosa più tardi. Suo fratello uscì dalla sala del bar e puntò dritto verso di lei.

«Non ora Mauro, ho da fare.» lo liquidò in fretta passandogli accanto senza che lui replicasse.

Passò davanti al bar, Victor era di turno e si voltò nella sua direzione prendendo un bicchiere al volo mentre intratteneva dei clienti con le sue acrobazie. Elisabetta incrociò gli occhi pece dell’uomo e si toccò una ciocca del caschetto di capelli corvini sorridendo, puntò l’uscita dirigendosi verso la piscina. Victor le piaceva, ma aveva imposto la regola che i dipendenti non dovevano avere rapporti sentimentali tra loro e valeva anche nel suo caso.

Lei doveva essere sempre d’esempio agli altri.



Hotel La Vecchia Stazione, ore 7.30


Il corpo della donna galleggiava a faccia in giù quasi al centro della piscina, anche se la vasca aveva una forma geometrica piena di curve, Oscar Persei poteva essere abbastanza sicuro che al centro ci fosse una corsia regolamentare.

La linea di piastrelle blu sul fondo era pressoché una certezza.

Lui e il suo collega Arturo erano arrivati prima del medico legale e lo stavano aspettando, nessuno si era permesso di tirare fuori dall’acqua la donna. Nessuno aveva tentato di rianimarla.

«Chi l’ha trovata?» Oscar fissò negli occhi il proprietario dell’albergo, padre della defunta. Le iridi scure ritornarono a osservare la piscina, lo sguardo era assente.

«Uno dei ragazzi che sistemano i lettini e puliscono il pavimento prima dell’apertura agli ospiti.» sospirò e toccò con la mano destra il piccolo crocefisso d’oro appeso al collo «Era una nuotatrice professionista, ha partecipato anche alle olimpiadi. Non posso credere che possa essersi sentita male.»

«Beh, non sta a noi decidere il giorno della nostra morte.» Oscar registrò mentalmente il passato sportivo della direttrice dell’hotel.

«Uno dei vostri dipendenti mi ha riferito che Elisabetta era solita nuotare da sola dopo la chiusura della piscina al pubblico.»

«Si, era la sua unica ossessione. Non ha mai accettato l’abbandono dell’attività agonistica e la piscina è stata modificata per ricavare una corsia regolamentare esclusivamente per lei.» il signor Stiletto sospirò «Era il suo sfogo e quando si arrabbiava si rintanava lì, ma non si mischiava mai con i clienti. Era fatta così, riservata oltre ogni modo.»

Finalmente il medico legale arrivò, Oscar osservò il modo indelicato usato per recuperare il corpo di Elisabetta e gli ritornò in mente il suo primo e grande fallimento in polizia, quando era un semplice e giovane agente. L’errore che aveva causato la morte di una ragazza appena ventenne e che lo aveva spronato a diventare ciò che era in quel momento; uno dei migliori ispettori di polizia della nazione.

Le attività dell’albergo sembravano essersi congelate, molti dipendenti osservavano tutto dai finestroni che davano sulla vecchia ferrovia in disuso e il parco interno dell’hotel, avevano le facce torve e gli occhi spenti. Gli ospiti stavano curiosando in giro, forse non avevano ancora capito cosa fosse accaduto realmente.

«Sua figlia era molto amata dai dipendenti?»

«Oh, sì!» Esclamò a gran voce il padre «E’ sempre stata dalla parte di chi lavora per noi, aveva tatto nelle problematiche personali e ha risolto sempre i problemi senza dover licenziare nessuno. Nemmeno negli ultimi tre anni in cui i profitti sono quasi in perdita.»

«Si sbaglia!»

Oscar si voltò trovandosi accanto una ragazza energumeno dai capelli castani lunghi fino al sedere, ricci e setosi. Indossava dei pantaloni corti da palestra e un top che metteva in risalto un seno abbondante sostenuto da una muscolatura da fargli invidia.

Tutto sommato era sexy.

«Cosa sta dicendo signorina Jennifer?» il proprietario si avvicinò alla donna.

«Ieri sera mi ha licenziata perché le clienti donne si lamentano dei miei metodi!»

Persei approfittò della discussione che non lo riguardava e fece un cenno ad Arturo che si avvicinò immediatamente.

«Fammi una cortesia, prendi gli altri colleghi appostati fuori e fatevi un giro nell’hotel. Soprattutto nell’ufficio della direttrice.»

Arturo assentì col capo.

«Intanto sento che ha da dirmi il dottore.»

Arturo si allontanò in fretta e Oscar era certo che avrebbe trovato qualcosa di utile alle indagini. Passò sotto il nastro biancorosso della polizia e raggiunse il medico intento a scrivere qualcosa su un blocco per appunti.

«Dottor Tarsi buon giorno, mi illumini.»

«Buon giorno Persei, sempre in anticipo eh?»

«E tu sei sempre ancorato ai vecchi carta e penna, dovresti modernizzarti un po’.»

I due ignorarono le formali strette di mano.

«Credo di non stupirti dicendoti che non si tratta di un malore.» l’uomo si tolse i guanti in lattice e si grattò i pochi capelli scuri che ancora campeggiavano sulla sua nuca «E’ stata uccisa e poi sistemata in acqua a faccia in giù.»

Oscar osservò la vittima, indossava un costume da bagno bianco, la muscolatura era definita e tipica di chi nuota regolarmente per ore tutti i giorni. Sul collo si vedevano i segni della stretta mortale, bocca era aperta in una sorta di grido e gli occhi chiari erano spalancati.

«Strangolamento?»

«Sì, mani forti. L’assassino ha usato dei guanti, probabilmente in lattice.»

«Ovviamente l’acqua non ci darà alcuna mano per eventuali tracce biologiche.» Oscar si lasciò scappare il pensiero ad alta voce.

«Ne saprò di più dopo l’autopsia.»

«Portala pure al tuo castello.» Oscar si allontanò di qualche metro, si fermò e si voltò verso il medico «Trattala come una principessa.» ammiccò.

Tarsi mostrò i pollici verso l’alto e Persei tornò dall’altra parte del nastro. La ragazza energumeno era sparita prima che potesse chiederle il numero di telefono e il signor Stiletto stava parlando con un uomo sulla quarantina, ben piazzato e col fisico da giocatore di rugby. La discussione era abbastanza animata e Oscar si avvicinò lentamente alle spalle del nuovo arrivato. La divisa che indossava con orgoglio scopriva subito le carte e voleva continuare ad ascoltare cosa aveva da blaterare quel tizio.

«Ora che lei non c’è più devi deciderti a vendere!»

«Non hai rispetto per la famiglia nemmeno ora?»

«Hai ragione, scusami. E’ che sono stufo di spendere soldi per questo posto che non rende più.»

«Parleremo di questo argomento a tempo debito. Ora non voglio pensare e niente, vai a farti un giro, ti prego.»

L’uomo si voltò senza dire nulla e quasi travolse Oscar che si scansò appena in tempo, non accennò nemmeno a delle scuse defilandosi in fretta.

«Lo perdoni, è mio figlio Mauro. Ha in mente solo i soldi e le belle donne.»

«Parlava di vendere o sbaglio?»

«Anni fa, quando ho considerato Elisabetta e Mauro pronti, ho diviso la società i tre parti. A loro due ho donato il trenta percento ciascuno e il quaranta l’ho tenuto io. Negli ultimi due anni, però, Mauro ha iniziato a dire di voler uscire dalla società e ha cercato a tutti i costi di convincerci a vendere l’hotel a un nostro concorrente. Lui incasserebbe sei milioni di euro.» il signor Stiletto si fermò osservando la bara di metallo grigio passare a qualche metro da lui. Oscar capì che, per l’uomo, la figlia era molto più importante di qualsiasi altra cosa.

«Elisabetta invece non voleva cambiare nulla, la famiglia doveva restare unita. Ha sofferto molto per la perdita della madre e altre vicende personali. La sua forza la metteva tutta nel mandare avanti la struttura. Dopo i funerali farò contento Mauro e acquisterò la sua parte con aggiunta quella che erediterà dalla sorella.»

«Signor Stiletto, avrò bisogno di parlare con tutti i dipendenti che erano in servizio ieri sera dalle diciannove in poi e le registrazioni delle telecamere che ho notato nei vari corridoi.» Oscar porse la mano al proprietario.

«Lei pensa che sia stato uno dei miei dipendenti?» l’uomo aveva una stretta di mano potente.

«E’ l’ipotesi più semplice, purtroppo.»

L’uomo lasciò la presa.

«Ora devo andare a gestire le indagini. Le comunicherò qualsiasi novità.»

Il signor Stiletto non rispose e si mise a fissare l’acqua della piscina come se ci fosse qualcuno su cui vegliare.



Stazione di Polizia, ore 19.00


Il primo giorno di indagini non era andato troppo male, considerando la bassa probabilità di trovare tracce biologiche sul corpo della vittima, avere già dei sospetti su alcune persone era una conquista. Oscar si stupiva sempre della stupidità di alcune persone quando pensano di essere protette dall’ambiente che conoscono; così dimenticano telecamere, accessi privilegiati e molto altro. I video del sistema di sicurezza avevano contribuito a localizzare due persone sospette, una terza l’aveva notata quella mattina e la quarta era venuta fuori interrogando i dipendenti presenti la sera prima.

Uno dei quattro, però, non poteva accedere alla piscina.

Se tutto ciò che aveva in testa era giusto doveva trovare il modo di far cadere il colpevole, e senza uno straccio di prova.

Nella stanza degli interrogatori era presente anche Arturo e stavano aspettando che i colleghi portassero lì gli indagati. Nella perquisizione dell’ufficio di Elisabetta Stiletto era stato rinvenuto una sorta di registro dove la donna annotava tutto ciò che non andava bene nel’hotel e le soluzioni trovate per risolvere i problemi. Oscar aveva notato la predilezione di Elisabetta per i dipendenti, alcuni avevano avuto aumenti di stipendio basati sulle valutazioni espresse dai clienti, altri ferie aggiuntive o regali. Il cellulare rinvenuto nel borsone negli spogliatoi aveva confermato una chiamata del fratello Mauro prima delle venti e lei aveva rifiutato la risposta. Sul dispositivo c’erano anche appunti di lavoro e promemoria, nonché una sorta di diario personale aggiornato con poca costanza, ma Oscar l’aveva ritenuto molto utile.

Il primo che avrebbero ascoltato era il barista. Il telefono sul tavolo bianco squillò, Oscar agguantò la cornetta e rispose.

«Persei.» ascoltò con molta attenzione «Perfetto, metteteli in stanze separate e non fateli incontrare. Nessuno deve sapere degli altri. Poi portatemi Victor Renich, grazie.»

L’attesa fu breve, il barista fu scortato all’interno della stanza e invitato ad accomodarsi. Con una rapida occhiata, Oscar, notò l’impeccabile camicia bianca, un orologio di marca al polso destro e pantaloni scuri perfetti. Il volto, dagli occhi pece e il naso pronunciato, aveva il nervosismo stampato sulla pelle.

«Signor Renich, lei era di turno ieri sera ed è qui perché vorremmo che ci raccontasse cosa ha fatto tra le venti e le ventidue.»

«Beh, ero al bancone del bar come tutta la settimana, ovviamente. Lo dimostrano gli scontrini emessi a mio nome.» l’uomo si mise a torturare il cinturino dell’orologio.

«Non è sufficiente come alibi, sappiamo che lei è solito assentarsi alcuni minuti proprio in quella fascia oraria, sempre e soltanto quando la direttrice è in sede.»

Victor cambiò espressione in un istante.

«Ora,» incalzò Arturo «ci spieghi che legame c’era tra lei e Elisabetta.»

«E’…»

Victor si guardò le mani «Era la mia responsabile, mi dava uno stipendio che non avrei ottenuto altrove ed era sempre gentile con me e tutti gli altri. L’esatto contrario di suo fratello che gode nel vedere le persone in difficoltà.» Oscar si trovò gli occhi scuri fissi nei suoi «Da domani saremo tutti dei probabili disoccupati, lui vuole chiudere questo posto per prendere i soldi e fare una vita agiata. L’unica a impedirglielo era Elisabetta.»

«Non era quello che volevo sentire, in realtà.» Arturo si sporse avvicinandosi al viso dell’uomo «Un uccellino mi ha detto che lei ha una bella cotta per la direttrice.» la voce era bassa e atona «Per esempio so che l’orologio che indossa è un regalo di Elisabetta. Sa,» sussurrò «a spanne sono tre o quattro mila euro di valore, è un dono speciale.»

«Sì, io amo Elisabetta. L’ho amata da subito e lei lo sapeva, ma nelle regole dell’albergo c’è il divieto di frequentarsi tra dipendenti per ragioni sentimentali. Io mi sarei licenziato per lei, ma non ha voluto.» una lacrima scivolò sulla guancia destra.

Oscar decise di intervenire sollecitando il lato personale dell’uomo.

«Lo sa che girano storie su Elisabetta relative alle sue relazioni amorose con diversi uomini?»

«Sono false.» Victor rispose con sicurezza.

«E chi lo sa? Lei non era geloso nemmeno un po’?» Oscar lo sfidò «Le dico io com’è andata… lei non ne poteva più di accontentarsi nel vederla nuotare la sera in piscina, di essere l’unico che l’amava davvero ma non era riuscito a toccarla, ad averla. Perciò ha deciso che doveva farla finita e ieri sera l’ha uccisa.» Oscar sorrise leggermente «Le telecamere hanno ripreso il suo passaggio in direzione della piscina.»

«Io… No!» Victor esplose in lacrime «Non avrei potuto farlo! Anche lei mi amava!»

«Per ora è tutto.» Oscar schiacciò un pulsante sul telefono e un agente aprì la porta dello stanzino «Voglio trovare il colpevole entro domani, quindi resterà con noi per un po’.»

L’agente portò via Victor, entro breve sarebbe arrivato il secondo indagato. Persei si stava scaldando per il gran finale.

La porta si aprì ed entrò la ragazza energumeno, vestita esattamente come la mattina, solo che aveva un’espressione meno sicura. Si sedette e appoggiò tutto il peso del seno sul piano del tavolo. I gomiti appoggiati sulle ginocchia.

«Jennifer, è un piacere rivederla. Dovrò farle alcune domande e le chiedo di essere sincera.» Oscar cercò di ignorare l’aspetto esteriore della ragazza «Ieri sera è stata licenziata da Elisabetta, sicuramente non se lo aspettava da una persona che considerava sua amica. Sappiamo che la direttrice l’ha aiutata tempo fa ad uscire da un problema di violenza domestica.»

Jennifer annuì in silenzio.

«Dopo che mi ha notificato il licenziamento sono andata in palestra a sfogarmi sul sacco.»

«Sì, abbiamo la registrazione del suo badge alle venti e dieci. Però la palestra comunica con la piscina e, sette minuti dopo, il suo badge ha aperto quella porta.»

«E’ vero.» lo sguardo era basso sul tavolo bianco «Ho provato a chiederle di ripensarci e le ho spiegato il motivo del mio comportamento. Solo che Betty aveva un carattere duro e quando prendeva una decisione era irremovibile. Mi ha risposto che preferiva essermi amica fuori dall’hotel, che nemica dentro.»

«Così,» sentenziò Oscar «Non ha sopportato l’affronto e ha esagerato. Lei avrebbe la meglio su parecchi uomini in caso di lite.»

«Lei crede davvero che io possa averla uccisa?» gli occhi di Jennifer erano lucidi «Non ho mai usato i miei muscoli per ferire,» mostrò il bicipite destro «so bene cos’è la violenza. Non lo dimentichi ispettore Persei.» indicò con lo sguardo la targhetta appoggiata sul piano del tavolo.

«E poi a osservarla nuotare ci sarà stato sicuramente Victor. Lo chieda a lui, non le mentirebbe mai. Non è capace di farlo. E’ per questo che Betty era innamorata persa di lui, ma con le sue regole e il suo rigore si stava facendo del male… e lo stava facendo anche a Victor.»

Oscar decise che poteva bastare, per il momento. Schiacciò il pulsante sul telefono e un agente aprì la porta.

«Resterà ancora un po’ con noi finché non avrò chiaro il quadro della situazione. Il mio collega si occuperà di lei. A più tardi.»

Jennifer fu scortata fuori, il terzo da interrogare sarebbe entrato in pochi minuti e l’attesa fu piena di supposizioni che circolavano solo nella testa di Oscar. Arturo controllò il suo cellulare, la porta si aprì e Mauro Stiletto entrò prendendo posto in fretta. Mostrava una calma fuori luogo e questo era il segnale che Oscar aspettava.

«Signor Stiletto, buona sera. Devo farle alcune domande su vostra sorella. Ho forti sospetti su un dipendente dell’hotel e forse lei ha le risposte che mi mancano.»

«Certamente, voglio vedere in gabbia quel bastardo!.» Mauro picchiò col palmo della mano destra il piano del tavolo.

«E se fosse una donna?» insinuò Oscar.

«La personal trainer che ha sbattuto fuori ieri sera!» l’uomo si lasciò sfuggire una risata «Quella vacca lesbica non sopportava le avventure amorose di mia sorella.»

«Interessante, mi racconti la storia.»

«Certamente.» Mauro sembrò rilassarsi «E’ noto a tutti che mia sorella fosse di facili costumi, almeno lo era diventata negli ultimi dieci anni.» si abbandonò comodamente sullo schienale della sedia di legno che scricchiolò sotto la massa muscolosa dell’uomo «Mia sorella ha avuto una brutta storia con un ragazzo, erano stati insieme per cinque anni e dopo la fine di quella relazione fatta di botte è cambiata. Passava le notti in strada, probabilmente a farsi raccattare da qualche tizio di passaggio.» Stiletto sorrise compiaciuto «In fondo se la godeva, proprio come vorrei fare io con i soldi della vendita. Comprerei un bella nave e me ne starei in giro per il mondo finché ne avrei la forza.»

«C’è altro che dovrei sapere di Elisabetta?» Oscar notò Arturo spostarsi e prendere uno smartphone da una scatola di cartone.

«Mah, aveva questa fissa sulla tutela dei dipendenti. Non prendeva la sua parte di guadagni se prima non aveva pagato tutti gli altri, elargiva aumenti annuali, faceva regali. Era fuori di testa e mio padre le andava dietro. Ora le cose cambieranno, almeno per me.»

«Sa una cosa che non sopporto, signor Stiletto?» Oscar si alzò in piedi, appoggiò le mani al piano del tavolo e avvicinò il suo viso a quello dell’uomo «La superficialità.» la voce era quasi un sussurro, gli occhi erano puntati in quelli di Stiletto «E lei è un maestro in questo.»

Oscar sorrise «Abbiamo trovato un diario su un telefono e molti documenti archiviati in un notebook. Elisabetta passava le notti in strada ad aiutare le persone meno fortunate, quelle con una vita difficile.»

Arturo mostrò un fascicolo e lo appoggiò sul tavolo.

Oscar lo aprì e cercò una pagina precisa «Mauro sta cercando di vendere l’hotel e vuole convincere papà. Oggi l’ho visto in compagnia del proprietario del residence Ciclamino, parlavano di costruire un campo da golf. Devo salvare l’hotel e i miei dipendenti.» lo mostrò all’uomo «Abbiamo stampato ciò che c’era nello smartphone.»

Mauro sospirò.

«E’ stato lei a mettere in giro le voci sulle avventure di Elisabetta, com’è stato lei a ucciderla ieri sera.» Sentenziò Arturo.

«No, io sono andato via alle venti e trenta e mia sorella era viva. Stava nuotando come ogni sera. Volevo parlarle ma non ho potuto, stava già discutendo con Jennifer.»

«Abbiamo i passaggi davanti alle telecamere, ieri la piscina era affollata dopo la chiusura.» Oscar mise un foglio davanti all’uomo «Inoltre il suo badge ha aperto la porta della piscina alle venti e trenta, poco dopo che la personal trainer ha lasciato la palestra.»

Mauro iniziò a sudare.

«Allora Stiletto a che gioco sta giocando?»

«Il badge l’ho dato a Giuseppe Fratti, voleva parlarci lui e tranquillizzarla sui dipendenti. Mi ha chiamato un paio d’ore dopo e mi ha detto che Elisabetta aveva ceduto.»

«Arturo, porta qui il signor Fratti per cortesia.»

«Certamente.» Arturo uscì dalla sala.

«Ci vorrà qualche minuto, nel frattempo le comunico che lei in stato di fermo per concorso in omicidio.»

«Devo chiamare il mio avvocato.» Mauro Stiletto era tornato calmo e sicuro.

«Non ce ne sarà bisogno, lo abbiamo già avvertito noi.»

I minuti passarono lenti e silenziosi, Oscar attendeva i primi segni di cedimento dell’uomo che sembravano non voler arrivare mai. Dopo mezz’ora arrivò l’avvocato della famiglia Stiletto ed entrò quasi abbattendo la porta.

«Mauro, vieni con me. Non possono trattenerti. Non hanno prove.»

«Avvocato, abbiamo prove a sufficienza. Comunque… prego andate pure, a patto che domani il signor Stiletto si presenti a firmare.»

«Certamente, lo accompagnerò io di persona.»

«Ah, Mauro…» Oscar attese che l’uomo si voltasse «suo padre non venderà e non acquisterà la sua parte, vuole rispettare il volere di Elisabetta e salvare l’albergo con ogni mezzo possibile.» Oscar sorrise «Suo padre me lo ha detto questa mattina, ma credo che questo lei lo sappia già.»

Mauro Stiletto non mostrò alcuna emozione, uscì in fretta dalla stanza lasciando la porta aperta.

Oscar compose un interno sul tastierino del telefono e attese la risposta.

«Il pesce gira attorno alla lenza. Andiamogli dietro prima che sia troppo tardi.»

Casa Stiletto, ore 22.00

Oscar, in compagnia di Arturo, aveva seguito Mauro dalla caserma alla sua abitazione, una villa in periferia perfettamente in stile con la personalità dell’uomo. Da lì lo avevano seguito fino alla casa del padre, quasi confinante con l’hotel di famiglia. Avevano atteso che Mauro entrasse con la sua auto e poi  erano sgattaiolati dentro prima che il cancello automatico si chiudesse. Fortunatamente la primavera era mite e alcune finestre erano aperte. I due uomini erano all’interno di un soggiorno arredato in stile moderno, dai colori tenui e chiari. Mauro Stiletto era in piedi davanti al padre che, invece, era seduto su una poltrona rossa. La discussione verteva sulla vendita dell’hotel, sul valore dell’area e sulle quote da dividere, Ettore Stiletto aveva cambiato discorso, probabilmente per far cambiare idea al figlio, e stava parlando della defunta moglie e di quanto avesse desiderato che i figli si occupassero dell’hotel.

Mauro non era d’accordo, continuava a ripetere che avrebbero perso tutto, che dovevano vendere e fregarsene della sorte di quei cialtroni che lavoravano per loro. Il nervosismo stava crescendo ed Ettore si era alzato in piedi a gridare in faccia al figlio tutto ciò che pensava.

Il sesto senso di Oscar prese il sopravvento e comandò al corpo di arrampicarsi sulla finestra, in un attimo fu dentro la stanza nascosto dietro una tenda ammucchiata sulla destra. Arturo era stato costretto a restare all’esterno, pronto comunque a entrare in caso di necessità.

La situazione degenerò in fretta, Ettore piazzò un ceffone in faccia la figlio con una rapidità che Oscar fece fatica a spiegarsi, Mauro assorbì il colpo senza scomporsi e nella mano destra apparve un coltello di una trentina di centimetri.

«Sei come Elisabetta, non vuoi lasciar andare il vecchio sogno di mamma!» gridò Mauro «Un sogno che sta fallendo miseramente, ma non lo vuoi capire.»

«Prima tua sorella e adesso vuoi togliere di mezzo anche me?»

«Sei un genio, con Elisabetta è stato facile, mi è bastato aspettare che arrivasse in fondo alla vasca e prenderla per il collo. Purtroppo ha sofferto un po’, ma era necessario alla causa.»

«Alla causa?» Ettore sembrava immobile, ma Oscar aveva notato un particolare che era sfuggito a Mauro «Quale? Quella del tuo egoismo smisurato?»

Improvvisamente Ettore assestò un calcio con rapidità incredibile sul fianco destro del figlio colpendo anche il braccio con cui teneva l’arma. Oscar non aveva mai visto un settantenne così in forma.

Il coltello schizzò via oltre un tavolino, Mauro si piegò in avanti, sembrava aver accusato il colpo. Quando si rimise dritto, nella sua mano destra era comparsa una pistola.

«Adesso basta.» puntò l’arma contro il padre «Doveva essere un suicidio, ma a questo punto sarò costretto ad agire diversamente.»

«Pensi di restare impunito?»

«Mentre venivo qui ho chiamato Fratti, gli ho detto che avevi deciso di vendere e che lo aspettavi per trattare la cosa.» Mauro scoppiò in una sonora risata «Quando arriverà, stupido com’è, toccherà la pistola e si metterà nei guai da solo. La polizia sa che ieri ho dato a lui il mio badge per farlo entrare in piscina.»

Oscar aveva sentito abbastanza e aveva registrato tutto col suo smartphone. Era il momento di entrare in scena prima che fosse troppo tardi.

«Mi spiace per le sue ambizioni, Mauro, ma credo che dovrò esserle d’intralcio.» uscì dal nascondiglio con la sua arma d’ordinanza in pugno «Non faccia mosse avventate perché le sparerei senza pensarci un secondo.»

Mauro spostò l’arma «Mi vuole sfidare a duello, ispettore?»

«Non credo che ne abbia bisogno.» Arturo comparve da lato opposto, come avesse fatto era un mistero per Oscar, ma era stato di un tempismo perfetto «Getti l’arma, ora!»

Mauro si arrese e lasciò cadere la pistola sul pavimento.

«Mi devo scusare con lei Ettore, ho mentito a suo figlio dicendogli che lei avrebbe seguito il desiderio di Elisabetta e continuato a tenere aperto l’hotel. Mi serviva un esca per far cadere Mauro, ho capito che era stato lui già stamattina.»

«Non ha mentito, ispettore. Questa sera ho deciso di andare avanti. Avrei dato dei soldi a mio figlio, ma non tutti quelli che gli spettano, altrimenti li avrebbe fatti fuori in meno di un anno.»

Nel frattempo Arturo aveva ammanettato Mauro che ormai era ridotto a un agnellino.

«A proposito Mauro, il signor Fratti non verrà all’appuntamento, ha recitato una piccola parte mentre era trattenuto in centrale.» si voltò verso Ettore «Dovrò rivedere il vostro avvocato, stavolta però le prove ci sono.» sorrise Oscar.

«No, non ho intenzione di sprecare le risorse di famiglia per tirare fuori dai guai quest’inetto. Da stasera non esiste più per me.»

«Bene, direi che per oggi le emozioni possono terminare.» Oscar fece segno con il capo ad Arturo «Forza portiamolo in centrale che devo invitare una ragazza a bere una birra.» Oscar si lisciò uno dei sui famosi baffetti arricciati.

«Signor Stiletto, domani verrò in albergo per gli ultimi rilievi del caso e poi ci rivedremo al funerale.»

Arturo aprì la porta e uscì spintonando Mauro, Oscar si accodò e se la richiuse dietro.

Stava già pensando a come conquistare Jennifer.

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