Questo racconto è il frutto di un esercizio che prevedeva di creare una storia partendo da un immagine, in questo caso un quadro di Edward Hopper dal titolo Four Lane Road nell’immagine in evidenza.
Questo è il racconto che ne è venuto fuori:
La campagna in primavera era meravigliosa e ora che non l’avrebbe più rivista lo era ancora di più. Il sole basso delle sei del pomeriggio tingeva tutto d’oro e Carlo stava godendo di quegli ultimi raggi seduto sulla sua sedia preferita. Quella appartenuta a suo padre e che aveva costruito con lui quando aveva dieci anni. Dopo trentasei anni era ancora solida e robusta e il tempo sembrava non riuscire a consumarla.
Presto tutto ciò che conosceva sarebbe finito, portato via da un sasso che stava per piovere dal cielo. La sua officina e il distributore, la vigna e la stalla con gli animali, tutto sarebbe stato spazzato via in pochi minuti. C’era tutta la sua vita lì e lui non voleva privarsene.
Aveva deciso di aspettare l’evento seduto a contemplare l’ultimo tramonto della sua vita, ma anche di tutto il mondo.
«Papà!» la voce di Vanessa gli esplose sopra la testa dalla finestra del bagno.
Carlo si voltò, aveva già discusso con lei tutto il pomeriggio e i giorni precedenti.
Non avrebbe lasciato la sua casa per andare a rifugiarsi chissà dove.
«Papà!» urlò di nuovo «Non hai ancora preparato la valigia!».
«Ne abbiamo già parlato.» la voce quasi un sussurro.
«Non me ne vado senza di te».
«Io non sarò utile a nessuno là sotto.» indicò la terra.
«Lo sai che non è vero, tutti sono indispensabili ora».
«Avrai più spazio a disposizione. Io sono nato per stare nella campagna e negli spazi aperti».
Nel frattempo, il sole, era morto per l’ultima volta in un bagno rosso e arancio più intenso del solito.
«Papà, è ora…» Vanessa non voleva mollare.
Carlo percepì il singhiozzo trattenuto da sua figlia. Si chiese che razza di vita avrebbe mai potuto avere a un chilometro sotto la superficie del pianeta. Quello per lui significava essere sepolti vivi per dieci lunghissimi anni, se le previsioni degli scienziati fossero state corrette.
Il cielo, lentamente, si scurì e le stelle emersero al loro solito posto ed eccolo il mostro illuminato dal sole, proprio sotto la cintura di Orione.
Il pullman dell’esercito arrivò puntuale alle otto di sera, Vanessa uscì dalla casa con una valigia troppo grande e pesante per lei. Nelle due ore passate non aveva avuto più alcun contatto con lei. Lui la osservò alla luce della plafoniera sopra la porta d’ingresso. Alta e slanciata, i capelli lunghi e neri identici a quelli di Giovanna, ormai morta da dieci anni.
Vanessa si avvicinò in lacrime, gli occhi del colore della notte più buia però appartenevano a lui, Carlo si alzò e l’abbracciò, il clacson del pullman suonò.
«Vivi anche per me.» sussurrò prima di lasciarla andare.
Vanessa si allontanò in silenzio, un militare si occupò del bagaglio, il mezzo si mise in movimento appena furono a bordo.
Carlo si accomodò nuovamente sulla sedia, quel mostro voleva guardarlo in faccia. Voleva vederlo sfrecciare sopra la sua testa per andare a schiantarsi da qualche parte in Russia e sempre su quella sedia avrebbe atteso l’onda d’urto che, nelle ore successive, avrebbe distrutto tutto. Il cielo si sarebbe oscurato per almeno dieci anni rendendo la terra sterile.
I governi del mondo avevano costruito intere città sotterranee e autonome in meno di tre anni, uno sforzo enorme e congiunto. Forse questo sarebbe stato un passo importante per l’umanità sempre in conflitto.
Gli appartamenti erano tutti delle stesse dimensioni in base ai nuclei familiari che avrebbero ospitato, aveva visto i servizi in televisione. Non c’era disparità tra classi sociali, tutti erano stati resi uguali nella necessità di sopravvivere.
Alle ventidue il bolide sfrecciò sopra la sua testa puntuale e malvagio scomparendo verso est, poche ore e tutto sarebbe finito. Controllò le ultime notizie sul cellulare e tutti i media stavano mostrando i filmati del passaggio in tutte le nazioni del mondo fino allo schianto, tutto in pochissimi minuti. Ma gli scienziati avevano sbagliato i calcoli.
Il meteorite era caduto in Repubblica Ceca centrando in pieno un piccolo paese.
Carlo iniziò ad avere paura, pensava di essere pronto per andarsene ma non era vero.
Il vento si sollevò, prima leggero e poi sempre più intenso e violento.
Era passata appena mezz’ora.
Carlo percepì un rombo sommesso, la terra iniziò a tremare, ma non abbastanza per impedirgli di alzarsi e raccogliere la sedia.
Si era sbagliato. Aveva una fifa marcia e voleva essere in quel buco sotto terra con Vanessa. L’orgoglio si era impadronito della ragione e lo aveva fregato. Entrò in casa, chiuse la porta e cercò un posto sicuro.
La finestra della cucina si sbriciolò, i muri tremarono, Carlo addossò il tavolo della cucina alla parete portante interna e ci si nascose sotto. Al petto stringeva la foto incorniciata fatta l’ultimo Natale in cui Giovanna era ancora viva.
L’onda d’urto entrò in casa, strappò la porta d’ingresso dai cardini facendola volare sopra il divano, un forte boato si propagò al piano superiore. Forse il tetto era crollato. Carlo osservò la crepa che si formò sul muro che aveva di fronte, la vide allargarsi rapidamente finché la parte a destra crollò all’interno della cucina.
Di seguito fu il soffitto a cedere precipitando sul tavolo che non fu in grado di resistere. Negli ultimi istanti di vita, Carlo, pensò a Vanessa e che per orgoglio l’aveva lasciata sola.