L’ANIMA IN BIANCO

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Di mestiere congelo il tempo, osservo e fermo l’attimo prima che svanisca.Non si può dire come sia cominciato, ma molti anni fa presi in mano un oggetto, lo guardai, lo provai e restò in me. Molti ci chiamano fotografi, tanti non sanno che ciò che facciamo ha del miracoloso. Noi rendiamo le persone giovani per sempre, anche dopo la morte, noi fermiamo la felicità rendendola eterna.

All’inizio preferivo i paesaggi, ho appreso i segreti della natura congelando il sorgere del sole, le onde del mare, la brina mattutina, la notte e le sue stelle. Successivamente mi occupai degli esseri umani, volevo trovare e mettere a nudo la vera anima. Iniziai con modelli, persone abituate alla macchina fotografica ma questo non mi aiutò. Nessuno mostrò la sua vera essenza, i sorrisi erano forzati, finti, di circostanza. Esisteva solo la bellezza esteriore, ma l’anima non dimora lì.
Allora passai mesi per le strade cercandola tra le persone comuni, quelle che lavorano duro, tra i barboni abbandonati sui marciapiedi, tra i mendicanti, in mezzo alle piazze, ma anche in questo caso non ci fu alcuna persona in cui trovare risposte. Arrivai alla conclusione che forse l’anima non può essere vista o, molto probabilmente, non esiste. Siamo soltanto il risultato del nostro patrimonio genetico che definisce i nostri tratti somatici, mentre il nostro mondo interiore è plasmato dalla società in cui siamo costretti a vivere.

Decisi di dedicarmi alle emozioni, passai anni a ritrarre la felicità e diventai un fotografo di matrimoni tra i più richiesti, qualcuno sosteneva che fossi l’unico a fotografare il vero momento felice delle persone. Il mio spazioso studio è diviso in sezioni, una parte dedicata ai ritratti, una per i corsi, un lato per mostrare i lavori migliori e un laboratorio di sviluppo digitale. La pellicola l’ho abbandonata da anni per lavorare in modo più flessibile. Non ho un negozio, non mi interessa vendere e guadagno il giusto con le mie prestazioni che mi soddisfano molto di più.

Un anno fa ricevetti una telefonata per un servizio fotografico a domicilio, la donna con cui parlai aveva una certa premura, ma non riuscivo a comprenderne il motivo.

Finché non mi recai da lei.

Era la seconda domenica di maggio, il cielo era cupo e prometteva un temporale che sarebbe stato molto forte. Avevo stipato buona parte dell’attrezzatura da studio nel bagagliaio della mia monovolume, le luci, i diffusori, il computer portatile e tutto l’occorrente per lavorare senza intoppi, l’esperienza mi aveva insegnato che era meglio avere un’attrezzatura ridondante perché non sai mai cosa si possa guastare all’improvviso e perdere ore di lavoro non è tollerabile. Per questo motivo tutto aveva un doppione pronto per l’utilizzo. Arrivai in anticipo come sempre, il cliente preferisce sentirsi importante e presentarsi prima del tempo fissato crea sempre un’ottima impressione.

La donna abitava in una modesta villetta a schiera, bionda, minuta e sui quarantacinque anni si presentò come Giulia. Mi fece accomodare nel soggiorno arredato con cura, su un ripiano del mobile, in fronte al divano rosso, spiccavano alcune foto incorniciate con colori che comprendevano sfumature di giallo e rosso.
In totale dieci ritratti di Giulia in età diverse. Le chiesi dove volesse che le facessi il servizio fotografico, tergiversò per qualche secondo e poi, fissando il pavimento di cotto chiaro, sussurrò che voleva farlo in camera da letto.

Non mi scomposi più di tanto, per me una stanza è solo ciò che è, ma Giulia sembrava talmente a disagio che mi sentii una sorta di violentatore della sua intimità.
Quella donna nascondeva un segreto che non voleva mostrare. Decisi, così, di prendere tempo per farla abituare alla mia presenza e le proposi di fare alcuni scatti di prova nel soggiorno, Giulia accettò e io andai a recuperare la mia attrezzatura. Fuori stava iniziando a piovere, il cielo era diventato di pece e in lontananza si vedevano già i primi fulmini di un blu estremamente intenso. Scaricai tutto sotto il portico d’ingresso e subito dopo la pioggia si fece più intensa, fino a sembrare di trovarsi sotto una cascata. Portai la mia roba all’interno pensando già a come gestire le luci visto che non avrei potuto contare sull’illuminazione naturale proveniente dall’esterno, sul piccolo tavolino di cristallo, davanti al divano, erano comparse due tazzine da caffè. Giulia era lì ad attendere nei jeans blu, la camicetta bianca con due bottoni slacciati che mettevano in mostra una leggera scollatura e le scarpe chiare con un tacco appena accennato. Sorseggiammo il caffè mentre le raccontavo la mia vita di fotografo decisamente solo, ma senza alcun rimpianto. Cominciai a sfruttare il divano, l’illuminazione andava abbastanza bene, procurai anche alcuni oggetti da far usare alla donna sul set improvvisato, ma non riuscivo a farla rilassare.

Mentre scattavo da angolazioni diverse cercavo di farla parlare di qualsiasi cosa, riuscii a fare due primi piani di un sorriso appena accennato venuto fuori durante un racconto di gioventù. Dopo un’ora la padrona di casa si sentì pronta ad affrontare il vero servizio fotografico, mi chiese di attendere in soggiorno e io ne approfittai per scaricare le foto nel computer e scartare quelle non interessanti. Non sapevo che tipo di lavoro volesse, non l’avevo chiesto e lei non aveva voluto sapere il costo della mia prestazione d’opera, speravo solo che la titubanza iniziale della donna non fosse legata ciò che stava per chiedermi.
Giulia mi chiamò dal piano superiore, recuperai una parte dell’attrezzatura, il temporale era proprio sopra il quartiere ma non sembrava creare grossi problemi.
La camera da letto era spaziosa e arredata in stile moderno, il letto era in ciliegio, le pareti di un rosa tenue sfumato con pennellate a caso di rosso. Trovai la donna in piedi accanto ad uno specchio alto due metri, indossava un abito da sposa, corpetto di raso bianco a manica corta, il vestito si allargava fino a toccare terra con lo strascico dietro appena accennato, il velo ricadeva lungo la schiena fino a circa la metà coprendo i capelli biondi liberi da qualsiasi acconciatura.
Restai sorpreso per il mistero appena svelato.

Giulia mi sorrise nel modo che avevo imparato a conoscere nell’ora precedente, una curva leggera delle labbra per un qualcosa che non voleva essere mostrato.
Sistemai gli stativi con i flash e gli ombrellini diffusori attorno al letto, feci alcune prove a vuoto per controllare le ombre e poi scesi al piano terra per recuperare l’altra macchina fotografica e il computer. Avevo intenzione di usare due obiettivi diversi e il computer serviva per rivedere gli scatti subito. Avevo capito che non si trattava di un matrimonio vero e proprio e in questo caso non c’erano tempi da rispettare.

Giulia restò in piedi per tutto il tempo osservando in silenzio ogni mio movimento, finché cominciai a darle indicazioni sulle pose e iniziammo a fare sul serio. Volevo dei sorrisi veri e più volte mi trovai a insistere verso quella persona che non voleva ridere.

Dovevo strapparle il segreto dal cuore.

Iniziai a farle domande su tutto ciò che poteva essere stato il passato, ma ogni volta eludeva l’argomento chiudendosi nel silenzio. Il temporale continuava a farsi sentire, dopo mezzora avevamo fatto il giro della stanza e del letto, ma dei sorrisi nessuna traccia come del motivo di quel servizio fotografico.

Avevo notato la portafinestra al centro della parete a destra del letto e affacciandomi ne scoprii il piccolo balcone che avevo visto dalla strada. Chiesi a Giulia se voleva fare degli scatti lì e lei rispose che non c’era alcun problema. Aprimmo la portafinestra e il velo e parte del vestito iniziarono a svolazzare a causa della corrente d’aria che si era creata. Ne approfittai per scattarle alcune foto che ora campeggiano nel mio studio e fanno impazzire molte sposine.

Il balcone era bagnato dalla pioggia, Giulia si affacciò appena dall’apertura mentre io ero praticamente sotto l’acqua. La rigidità della donna mi diede un’idea, le chiesi se era disposta a bagnare un po’ il vestito, ma dopo la risposta capii che avrei potuto chiederle anche di appendersi dall’altra parte del balcone, e l’avrebbe fatto. Feci aspettare la donna all’interno della camera mentre con gran fatica sfruttai una specie di armadietto basso per arrampicarmi sulla trave centrale che reggeva il tetto, sotto, all’incrocio con altre travi, c’era un spazio dove riuscii a infilare entrambe le gambe ritrovandomi a testa in giù.

Invitai Giulia a uscire lentamente guardando davanti a se, la posizione era perfetta. Quando le chiesi di voltarsi verso la mia voce, spalancò gli occhi, per un attimo sorrise coprendosi la bocca con una mano e subito dopo disse che ero pazzo. Si abituò presto alla mia presenza sottosopra come io al sangue che voleva farmi scoppiare il cervello. Chiesi alla sposa di appoggiare i gomiti sulla ringhiera del balcone e sporgersi un po’ guardando verso le montagne, doveva pensare che fossero ciò di più bello stesse osservando. Il viso iniziò a bagnarsi di goccioline di pioggia, gli occhi chiari si strinsero in una fessura.

Scattavo foto dal momento in cui Giulia era uscita dalla camera da letto, credo fossi arrivato già a una cinquantina, quando mi accorsi che ciò che bagnava il viso della donna non erano solo gocce di pioggia, erano lacrime.

Giulia afferrò la ringhiera con le mani, strinse così forte che si piantò e unghie nella carne, si protese in avanti, gli occhi si spalancarono mostrando rabbia, intensa, forte, carica di odio. Infine gridò, ricordo perfettamente le parole.«Non mi avrai mai!» continuai a scattare «Hai capito? Mai!»Poi s’inginocchiò con le mani a terra e le braccia tese.Mi affrettai a scendere dalla trave e caddi malamente dal mobiletto riuscendo a salvare la reflex dalla distruzione. Mi rialzai dolorante, continuai a inquadrare Giulia rendendo eterna quell’emozione. Ne avevo abbastanza, l’aiutai a rimettersi in piedi e lei si lasciò andare raccontandomi il suo segreto.

Mi parlò di una cicatrice, ma non capivo cosa volesse dire, continuava a fissare l’orizzonte svuotandosi da tutto ciò che aveva tenuto dentro per anni. Mi chiese se conoscevo il significato di lottare con qualcosa di sconosciuto, lei aveva lottato con uomini violenti, aveva scelto la solitudine e il lavoro, ma li conosceva entrambi. In quel momento stava combattendo una guerra dura dall’esito certo, almeno secondo alcuni. Ne parlò con freddezza, senza pause per non lasciarmi il tempo di commentare.Rientrammo in casa entrambi gocciolanti, lei si sedette sul letto, io restai in piedi. Arrivai a comprendere il significato dell’abito da sposa assimilando il silenzio che nessuno voleva rompere, Giulia improvvisamente si illuminò in un sorriso, quello che cercavo da più di due ore, e non me lo feci scappare. Mi resi conto di aver trovato anche l’anima cercata da anni, era venuta fuori lì tra pianto e riso.

Giulia aveva sposato la vita, questo era il motivo del servizio fotografico.

La morte non poteva averla in modo esclusivo.

Le chiesi se voleva uscire un po’ e passammo il resto del pomeriggio in un pub nelle vicinanze, successivamente venne a trovarmi in studio per vedere i miei lavori e le sue fotografie di cui non ho voluto alcun compenso.

Giulia ha lasciato tutto un mese fa, portata via da un male al cervello.

Io, beh, io ho l’ultima immagine di Giulia nella testa e con quella sono tornato a caccia di anime da svelare.

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