CONCORSO – I Sapori del Giallo 2019 – TUNNEL DI SERVIZIO

Tempo di lettura stimato in: 15 minuti

Cari lettori,
sono orgoglioso di pubblicare il racconto premiato con il terzo posto a “Sapori del Giallo 2019” in quel di Langhirano (Parma).

Buona lettura.


 

TUNNEL DI SERVIZIO

 

Giulio dei tunnel parlava da solo come sempre, litigava con i muri, le luci dei soffitti bassi e perfino con i suoi piedi. Aveva un giaciglio di cartoni e coperte portate da caposala e  medici. Lui, ormai, era una presenza gradita all’interno della struttura, purché restasse relegato nei tunnel di servizio e non infastidisse nessuno. Rispettando questa regola aveva ottenuto pasti caldi, vestiti e un tetto sopra la testa. Gli avevano perfino concesso di mettersi qualche ora nel parcheggio con il cappellino per le elemosine.

In quel momento stava andando proprio verso il parcheggio sotterraneo, ad attenderlo c’era il responsabile della sicurezza che gli avrebbe dato il solito hamburger con le patatine come ogni mercoledì sera ed entro mezz’ora sarebbe passata l’infermiera a cui non andava a genio. Aveva imparato a starne alla larga, abbassare lo sguardo e non rispondere agli insulti. L’unica, che in tutto l’ospedale, aveva tentato più volte di farlo cacciare ingiustamente.

Subito dopo sarebbe passato il primario, il dottor Bertalli, uno dei più giovani in quel ruolo, considerato il miglior neurochirurgo in circolazione a quarant’anni scarsi. Quella era la settimana dove prestava servizio di notte ed era l’unico primario a comportarsi come qualsiasi normale medico. Ogni tanto, quando il dottore non era di fretta, ci parlava ed era simpatico, alla mano e molto umile. Diverso dagli altri medici che aveva incontrato e convinti di essere degli dei.

Bertalli gli aveva addirittura regalato le scarpe che indossava in quel momento, azzeccando la taglia esatta con estrema maestria, e lui non se le era più tolte per paura che qualcuno potesse portargliele via.

L’uomo stava percorrendo lo stretto corridoio pedonale con diverse porte a destra e sinistra che conducevano in posti in cui lui non aveva mai provato ad andare. Troppa paura di essere cacciato da quel posto meraviglioso. Svoltò a destra e nel disimpegno successivo ci trovò il dottor Bertalli.

Era molto in anticipo rispetto al solito.

***

Roberto faceva il responsabile della sicurezza per un’azienda di servizi che lo aveva piazzato in ospedale, ma la sua vera aspirazione era diventare un cantante famoso. Quel giorno era di turno fino alla mezzanotte e mancavano ancora quattro ore, proprio non aveva voglia di stare lì a perdere tempo, ma lo stipendio era alto e a lui i soldi piacevano. Stranamente, quella sera, il dottor Bertalli era già arrivato e aveva affrontato l’insistente infermiera Marika, convinta di essere una modella di Vogue. Lei era passata davanti alla guardiola senza neanche salutare mentre il dottore tardò alcuni minuti e poi si fermò per chiedergli se Giulio avesse già preso la sua cena.

Il neurochirurgo sapeva capire al volo le persone e quella smorfiosa attaccata ai soldi e alla carriera la teneva lontana il più possibile dalla sua vita. Solo che lei non mollava e si faceva cambiare i turni per incontrarlo tutti i giorni, quella storia era ormai nota a tutti quelli che lavoravano lì.

Sbuffando si ricordò che lui non aveva questa fortuna con le donne e che mai nessuna aveva fatto di tutto per incontrarlo.

L’interno della guardiola era invaso dal profumo del cibo che, come ogni mercoledì, aveva preso per il barbone che occupava i tunnel sotterranei dell’ospedale. Lo conosceva da cinque anni e tutto sommato era una brava persona, ma era in ritardo e non accadeva mai.

Improvvisamente sentì il grido di Marika arrivare dal tunnel di servizio, lì non c’erano telecamere così schizzò fuori dallo stanzino, imboccò di corsa il corridoio e pochi secondi dopo arrivò al disimpegno prima del secondo tunnel.

«Giulio!» gridò «Che cazzo hai fatto?». Non credeva ai suoi occhi.

Il barbone era in piedi davanti al dottor Bertalli con un paletto da recinzione di ferro in mano. Il pavimento era pieno di sangue e anche qualcos’altro, il muro mostrava schizzi ovunque.

Giulio lasciò cadere in terra il bastone, nella stanza c’erano anche Marika già in divisa e un uomo sconosciuto che fissava il corpo immobile del dottore senza trasparire emozioni.

Marika lo guardò con gli occhi velati dalla lacrime e scosse la testa, non c’era più niente da fare.

Roberto prese il cellulare e, sfruttando il ripetitore per GSM montato nei sotterranei, chiamò direttamente la polizia. Nel frattempo doveva evitare che altre persone entrassero nella scena del crimine e, per farlo, aveva bisogno di aiuto. Doveva tirar giù dal divano un paio dei suoi uomini.

***

L’invitante lasagna fumava sul piatto in ceramica dai ghirigori greci. Loretta quasi schiumava dalla bocca al pensiero del piacere legato a quel piatto fatto in casa con amore e riscaldato al microonde in ufficio utilizzando solo la funzione forno elettrico. La forchetta penetrò di taglio nello scacco, tagliare una lasagna con il coltello era un sacrilegio, un crimine degno dell’ergastolo. In più, come le aveva insegnato sua nonna, se non si tagliava con la forchetta significava che non era fatta bene.

Prese il pezzetto di lasagna in punta di forchetta, la cena era un rito da gustare con calma e possibilmente senza rotture di scatole. Infilò la porzione in bocca e il suo incontro con il cibo iniziò. Era in evidente sovrappeso ma non le interessava. Aveva più volte tentato di mettersi a dieta, ma aveva sempre rinunciato per amore del suo cibo, l’unico della sua vita. Preparò un’altra porzione, l’infilzò col tridente d’acciaio e lo sollevò.

Mario fece irruzione nell’ufficio.

«Mario, sto mangiando, è così importante?» non degnò il collega del minimo sguardo.

«Beh, c’è stato un omicidio in ospedale».

«Quindi non è urgente, tanto il morto non andrà da nessuna parte e dobbiamo aspettare la scientifica.» addentò un’altra porzione di lasagna.

«So che tieni molto al tuo giro vita e non vorrei che si sciupasse, ma sai chi è il direttore dell’ospedale, vero?»

«Certo idiota e me ne frego. Poi della mia linea non è affar tuo, ci penso da sola. Torna quando avrai imparato a risolvere un caso tutto da solo.» lasciò cadere la forchetta nel piatto.

«Il magistrato è già partito e vuole qualcuno subito sul posto, pretende che risolviamo il caso in fretta perché, ovviamente, c’è in ballo la sua immagine. Il morto è un noto chirurgo e un omicidio nell’ospedale dove il sindaco è direttore generale è un grande problema».

«Ci vada il commissario, sono tanto amici quei due».

«Il commissario non ha tempo e vuole che andiamo noi.» Mario fece spallucce.

Un insignificante capriccio alle otto di sera e soprattutto avrebbe lavorato col magistrato più insopportabile che avesse mai conosciuto. Era già nervosa.

«Chiama Rocco e prepara la macchina.» si alzò a fatica dalla sedia troppo piccola per lei e i suoi novanta chilogrammi. Recuperò la pistola dal cassetto della scrivania e, guardando quasi in lacrime  il piatto, uscì dall’ufficio.

Non c’era peggior affronto che interromperla mentre amoreggiava con il cibo.

Fuori dallo stabile, trovò Rocco alla guida della pantera e Mario che aspettava appoggiato con la schiena alla fiancata dell’auto. Ovviamente lei si sarebbe seduta davanti e lui su uno degli scomodi sedili posteriori. Mario era competitivo oltre misura nei suoi confronti e lei, prima o poi, avrebbe chiesto al commissario di toglierlo dalla sua squadra. Il collega salì in macchina e partirono a razzo per coprire i quattro chilometri circa che li separavano dall’ospedale. Il cielo prometteva pioggia e questo non le piaceva.

***

Arrivarono in meno di dieci minuti e Loretta, scendendo dalla macchina, individuò subito un addetto alla sicurezza. Tentava di tenere a bada curiosi e lavoratori invitandoli a passare altrove a causa di un problema nei tunnel di collegamento sotterranei.

Era ciò che sembrava gridare.

Alcuni si accorsero della sua presenza e iniziarono a tirare fuori dalle tasche i cellulari; tutti reporter improvvisati per i social network e Loretta non sopportava questa mania di protagonismo.

«Rocco, ordina a quel tizio di chiudere il parcheggio e toglimi quella gente dalle palle. Non voglio finire sul web, non prima della prova costume, almeno.» mostrò il ghigno più malefico che aveva in canna e il suo collega obbedì immediatamente.

«Bene, Mario. Cerca di non farmi fare figure di merda davanti al magistrato».

«Stronza.» si limitò a rispondere il collega.

Loretta finse di non sentire, tanto non aveva senso litigare con lui.

Il corridoio che avevano preso era sembrato più lungo di quello che doveva essere in realtà e arrivarono in una stanza che conteneva alcune porte. Da lato opposto al loro partiva un altro corridoio diretto chissà dove. Un addetto alla sicurezza stava facendo la guardia a quell’ingresso, un altro li aveva appena lasciati entrare.

«Buona sera, sono Roberto Selle e sono…».

Loretta si voltò in direzione della voce «Il responsabile della sicurezza».

«Ma…».

«Conosco i vostri gradi e distintivi da bravi boyscout. In più lei è quello che è intervenuto per primo. Ha la faccia di chi ha visto un morto ammazzato da vicino e per la prima volta. Tra l’altro ha toccato il corpo inquinando la scena di un crimine e quei pantaloni dovrà buttarli.» lo squadrò da cima a fondo. Atletico e magro, pochi capelli sotto il berretto e un naso enorme e schiacciato. «Io, comunque, sono l’ispettore di polizia Barcolli e si tolga immediatamente quel sorrisino idiota dalla faccia.» l’espressione dell’uomo cambiò all’istante.

Nella stanza, a terra con la schiena appoggiata al muro, c’era il cadavere di un uomo ben vestito, giacca blu coordinata con il pantalone, magro ma decisamente muscoloso. I pettorali gonfiavano la camicia e la giacca. Accanto al corpo c’era un paletto spigoloso di ferro insanguinato e il muro lì vicino era pieno di gocce e probabilmente altro materiale organico.

“L’assassino doveva essere particolarmente incazzato.” pensò Loretta.

«Allora signor Selle, cosa mi può raccontare?» i suoi occhi chiari cercarono quelli scuri del responsabile della sicurezza. «Beh, quando sono arrivato ho trovato Giulio» indicò un uomo trasandato chiaramente identificabile come un senza tetto «con il ferro in mano. Direi che non ci sono dubbi sulla sua colpevolezza».

Un’infermiera se ne stava in disparte triste e silenziosa, un uomo in abiti retrò continuava a spostare il peso da una gamba all’altra. L’unico dall’apparenza tranquilla e serena era proprio il presunto colpevole, dalla barba ispida e i capelli lunghi e ingrigiti. Addosso aveva dei jeans, una maglia a manica lunga verde e delle scarpe costose che forse aveva rubato da qualche parte.

Si avvicinò all’uomo.

«Che ci faceva lei qui dentro?».

«Ci vivo, io.» l’uomo sostenne lo sguardo con i suoi occhi verdi che dovevano aver visto di tutto e questo a Loretta piacque molto.

In quel momento arrivò il magistrato. Il dottor Nerio Ciacci, basso, tarchiato e in un completo nero le si avvicinò.

«Buona sera ispettore Barcolli.» la voce era acuta e sibilante «Deve chiudere tutto entro stanotte! Non mi interessa il modo in cui lo farà!» il dottor Ciacci stava quasi gridando.

«Uhmm…» mugugnò Loretta.

«Domani devono inaugurare il nuovo reparto di chirurgia e il direttore non vuole ombre sulla festa».

«Dobbiamo aspettare la scientifica».

«Lo sa meglio di me che non arriveranno prima di due ore, che bloccheranno mezzo parcheggio e non andranno via prima di domani.» il magistrato gesticolando animosamente puntò il dito verso il barbone «Mi sembra di aver capito che il colpevole sia qui davanti a noi e debba solo arrestarlo, raccogliere qualche prova e basta. Lei obbedisce a me, il commissario si fida della sua bravura e io mi fido di lui.»

Loretta accennò un sì con la testa e si mise al lavoro.

«Perché l’ha ucciso?» chiese al senza tetto senza girarci troppo attorno.

«L’ho già detto più volte!» gesticolò con entrambe le braccia aperte «Non sono stato io! Il bastone l’ho trovato per terra accanto al dottore e non so perché mi è venuto in testa di raccoglierlo!».

Mario aveva già le manette pronte.

«Piantala di mentire e collabora, non ho voglia di doverti prendere a sberle per metterti un paio di manette.» s’intromise il collega.

«Sì, portatelo via.» sussurrò singhiozzando l’infermiera «Ho sempre detto che non doveva starci qua sotto, che era pericoloso».

«Aspetta.» Loretta fermò Mario «Hai troppa fretta».

«Barcolli, trovi una prova per poterlo arrestare. È un ordine!».

«Se la scientifica lo scagionerà, lei avrà una bella gatta da pelare.» fissò gli occhi nocciola del magistrato «Lei ha detto che si fida di me e io le darò il colpevole.» s’infilò i guanti in lattice «Però deve lasciarmi lavorare».

Ignorò la risposta farfugliata da Ciacci e si avvicinò all’infermiera.

«Lei chi è?».

«Sono Marika Lecci e lavoro in cardiologia.» si sistemò meglio la divisa «Ho parlato con il dottor Bertalli nel parcheggio poco prima che quell’essere l’uccidesse!» scoppiò in lacrime.

«E non avete fatto la strada insieme?».

«No, mi ha detto che doveva incontrare qualcuno».

L’altro uomo era appoggiato al muro e aveva smesso di dondolarsi sulle gambe.

«E lei?» si avvicinò all’uomo.

«Io dovevo parlare con il dottore a causa di alcuni problemi con mia moglie».

«Ah! Allora se la faceva con sua moglie, vero?» gridò improvvisamente l’infermiera.

«Ma cosa blatera?» allargò le braccia «Il dottor Bertalli aveva in cura mia moglie ed è successo qualcosa durante l’ultimo intervento.» l’uomo tirò un pugno contro la parete di cartongesso ammaccandola e ferendosi la mano «Giada è in coma, forse irreversibile, al terzo piano!».

«Cerchiamo di stare calmi.» Loretta porse un fazzoletto di carta all’uomo per tamponare il sangue sulle nocche della mano destra «Quindi, signor…».

«Gabriele Marte, ingegnere».

«Ingegnere, continui pure».

«Io sono arrivato dal corridoio che porta ai reparti attorno alle diciannove e quaranta, dopo aver passato un po’ di tempo con Giada sono sceso per incontrare Bertalli. Quando sono entrato qui era già successo tutto».

Loretta non era convinta che il colpevole fosse in quella stanza, ma aveva una fame tremenda e la lasagna gridava nel suo cervello invitandola a divorarla. Doveva chiudere l’indagine in fretta e levarsi pure Ciacci dai piedi.

«Cortesemente, mi fate vedere tutti le mani?».

Loretta osservò con attenzione il dorso e le palme delle mani dei presenti, compreso il responsabile della sicurezza e i suoi uomini, e poi controllò il ferro in terra. Era sporco di sangue solo a una estremità, aveva perso da tempo la sua vernice ed era corroso dalla ruggine. Due persone avevano le mani rossastre e il cerchio si era ristretto, ma potevano anche essere innocenti.

«Allora?» incalzò Mario a disagio per la presenza del Magistrato e l’assenza di Rocco.

«Tu non noti niente di strano, vero?» Loretta lo bucò con uno sguardo.

«Io vedo un barbone, meno sporco degli altri che ci sono in giro, che è stato trovato con l’arma in mano. Probabilmente avrà chiesto dei soldi alla vittima e si è infuriato quando non li ha ottenuti».

«Ecco, ottima deduzione.» sentenziò Ciacci.

«Sei superficiale come un’altra persona qui dentro.» sollevò gli occhi al soffitto «E secondo te quel ferro da dove è spuntato?».

«L’avrà preso da qualche parte per vendicarsi e ha aspettato il momento buono.» Ciacci rispose al posto di Mario.

«Io non chiedo soldi alla gente!» Giulio perse la calma «Diglielo Roberto! Queste scarpe me le aveva regalate proprio il dottor Bertalli e i vestiti che ho addosso sono i tuoi che non usavi più».

«È vero ispettore, Giulio ha il permesso di stare nei tunnel purché si attenga ad alcune regole che lui ha sempre rispettato. È una direttiva speciale del direttore generale».

«Ancora non noti niente Mario?».

«Non è sporco di sangue.» intervenne Rocco spuntato da chissà dove.

«Bravo Rocco, allora hai un cervello in quella testa».

«Simpatica come sempre.» Rocco sorrise mostrando i denti candidi «Aggiungo che gli schizzi di sangue sul muro non sono come dovrebbero essere».

«E bravo Guido Rocco Aurelio, che Dio perdoni i tuoi genitori per la sequenza di nomi che ti hanno rifilato.» Loretta gli piantò una manata sulla schiena facendolo balzare in avanti di un metro. Rocco non si scompose nella sua magrezza da ex campione olimpico di atletica leggera, ma era sicura che stesse soffrendo intensamente.

«Bene GRA, sarà il tuo nuovo soprannome, che significa ciò che sostieni?».

Rocco si riprese tentando di non soccombere alla tosse improvvisa che gli era venuta e si schiarì la voce.

«Significa che tra il muro e la vittima c’era l’assassino».

«Puoi lavarti e cambiarti d’abito, ma il sangue» Loretta si avvicinò meglio a Giulio «si attacca ai capelli, s’infila nelle orecchie e nel naso».

Passò all’ingegnere in pantaloni chiari e giubbino leggero che lo faceva assomigliare a un ispettore di polizia dei vecchi film anni ottanta. Scrutò bene il viso, le orecchie e i capelli. L’uomo era nervoso oltre misura e da una tasca posteriore dei pantaloni spuntava qualcosa di bianco. Era un pezzo di carta. Loretta, senza chiedere il permesso, lo sfilò dalla tasca e ne lesse il contenuto.

Il magistrato, nel frattempo, aveva chiamato il commissario e si stava lamentando dell’operato degli agenti, ma a lei non importava.

L’ingegnere si lasciò cadere in terra finendo seduto con la schiena contro la parete e la testa tra le mani.

«Giuro che non sono stato io.» mormorò.

«Beh, questo però non la mette in buona luce.» Loretta prese fiato «Leggo testualmente: Lei è un bastardo, ha fatto un errore e non vuole ammetterlo. Io mi vendicherò».

«Volevo solo parlarci, quel biglietto era uno sfogo che avrei lasciato sul parabrezza della sua auto solo se mi avesse evitato.» scoppiò in lacrime «Non l’avrei mai ucciso!».

Loretta passò all’infermiera che ne frattempo aveva smesso di piangere ed era sulla difensiva.

L’osservò bene.

Occhi di cristallo e denti bianchissimi, ben proporzionata e sicuramente attenta alla linea. I capelli castani e lunghi le arrivavano a metà schiena. La pelle emanava un piacevole profumo di muschio e licheni, tipicamente da uomo. Loretta avrebbe rinunciato volentieri alla sua lasagna per passare del tempo in compagnia di quella meraviglia, anche se era troppo superficiale per essere il suo tipo e, sicuramente, le piacevano gli uomini.

Un vero peccato.

La donna era in imbarazzo e forse aveva intuito le attenzioni che le stava prestando. Toccò i capelli morbidi e ondulati, li annusò trovandoci lo stesso profumo della pelle ma in aggiunta c’era un sottofondo ferroso.

«Ispettore, non esageri. Non credo sia il suo tipo».

Mario aveva piazzato la sua battutina idiota che non mancava mai.

«Mario, Mario. Che vuoi saperne tu dell’amore? Non tocchi una donna da quando hai smesso di andare a prostitute».

Si allontanò di un passo da Marika e le accarezzò il viso.

«Comunque hai ragione. È troppo stupida per me.» sorrise all’infermiera che non replicò in alcun modo.

Uno sguardo in giro e notò le facce stupite dei presenti.

«Mi dica un po’, Marika, dove sono i suoi abiti?».

«Nell’armadietto al secondo piano.» il tono della voce era chiaro e mostrava sicurezza.

«Mi può accompagnare lei di sopra?».

«Io…»

«Anzi, ci spieghi come ci si arriva che Mario ha voglia di fare due passi».

«Ma…» Marika tentennò.

«Segua quel tunnel, alla quarta porta a destra entri e troverà un ascensore. Arrivato al secondo piano, uscendo, vada a sinistra, deve passare due porte taglia fuoco e troverà gli spogliatoi.» la risposta dell’addetto alla sicurezza fu talmente rapida che l’infermiera non aveva fatto in tempo a finire di sospirare.

«Le chiavi dell’armadietto, per favore.» allungò la mano destra verso Marika e lei senza esitare tirò fuori dalla tasca una chiave con attaccato un ciondolo di plastica trasparente azzurra. Le passò al collega.

Loretta osservo Mario imboccare il corridoio e sparire alla vista, nel frattempo doveva temporeggiare in qualche modo. Decise di occuparsi dell’ingegnere ancora a terra e che era più bianco del morto lì a due passi.

Poi le venne in mente un altro particolare.

«Selle, si ricorda quanto tempo è passato dall’arrivo del dottore alla scoperta del corpo?».

«Pochi minuti, sicuramente meno di dieci».

Loretta osservò meglio il paletto dalla sezione triangolare.

«Avete una recinzione con paletti simili?»

«No».

«Interessante…» Loretta si lasciò scappare la considerazione volutamente e con un fil di voce. Voleva vedere se qualcuno avrebbe abboccato al suo amo.

«Allora ispettore, vogliamo arrestare qualcuno o no?» Ciacci aveva concluso la telefonata ed era tornato a fremere.

Verificò l’ora, erano passati già cinque minuti, e la sua teoria prendeva sempre più forma e valore. Osservò nuovamente la stanza con le sue porte, due erano ben identificabili e altre due no.

«Cosa mi dice di quelle porte?» fece un cenno a Selle in direzione delle due senza insegne.

«Sono ripostigli, uno è della manutenzione e l’altro serve a noi della sicurezza come deposito».

«Ovviamente lei ha le chiavi per aprirle tutte, vero?».

Occhi di cristallo provò a dire qualcosa ma era incomprensibile, contemporaneamente Mario entrò nel disimpegno. Erano passati sette minuti.

«Ispettore, ho trovato l’armadietto in questione».

«Ed era vuoto.» Loretta sorrise trionfante.

«Sì.» Mario era visibilmente arrabbiato.

«Selle, apra quelle porte».

«Barcolli, le ricordo che sono io a decidere dove perquisire!» il magistrato fermò Selle toccandogli la spalla destra.

Loretta non aveva voglia di discutere con lui e rischiare un’ammonizione.

«Dottore, l’apertura di quelle porte potrebbe essere determinante per le indagini in corso».

Ciacci, si grattò la testa mezza calva, aspirò aria quasi a voler esaurire tutta quella presente nel locale e poi sospirò.

«E va bene».

«Vado a prendere le chiavi.» Selle si diresse in fretta verso il parcheggio.

Loretta osservò i presenti. Rocco aveva un ghigno stampato in faccia che era tutto un programma, Mario sbuffava, il barbone giocava con una ciocca di capelli ed era rilassato neanche fosse al bar con gli amici, Marika aveva la schiena appoggiata al muro e lo sguardo fisso al pavimento grigio e sporco e l’ingegnere era ancora seduto in terra con la testa tra le mani.

Loretta si avvicinò a quest’ultimo.

«Si alzi,» stracciò il pezzo di carta che ancora aveva in mano «lei è innocente».

Il responsabile della sicurezza arrivò con un mazzo di chiavi in mano.

«Ho un problema ispettore.» mostrò meglio le chiavi «Ne manca una».

«Scommetto che è quella del vostro sgabuzzino.» s’intromise Rocco.

«Ma come…» Selle era esterrefatto.

«Bravo Rocco, se non fossi un uomo ti bacerei.» Loretta stampò un’altra pacca dietro le spalle al collega e quello cominciò a tossire. Poi si avvicinò a Marika.

«Sei così bella,» le sollevò il viso magro e dagli zigomi leggermente sporgenti «ma tanto stupida».

«Ispettore, piano con gli insulti.» Ciacci s’intromise come al solito.

«Io…» la voce della donna era un sussurro.

«Forza dammi quella chiave».

Marika si tolse lo zoccolo destro e Loretta prese la chiave, l’infilò nella serratura e aprì la porta. L’interruttore della luce era accanto all’apertura e lo trovò subito. La stanza non era molto grande, c’erano alcuni armadietti in metallo, probabilmente inutilizzati e scatoloni riposti con cura e ordine meticoloso. Un bidone azzurro abbandonato in un angolo attirò la sua attenzione, aveva il coperchio chiuso male e questo contrastava col perfetto ordine di quell’ambiente. Al suo interno c’erano degli abiti da donna e si sentiva bene l’odore ferroso del sangue.

«Mario, è tutta tua.» portò il bidone fuori dalla stanza.

«E ci risiamo Barcolli!» Ciacci sembrava irritato dalla situazione «Sono io che decido cosa fare, lo vuole capire?».

«Sì, mi perdoni. Sono a digiuno da stamattina e non vedo l’ora di mettere sotto i denti qualcosa.»

«Lei» indicò Mario «Prenda le generalità della donna e i documenti personali.» si spostò verso il bidone e osservò il contenuto senza toccare niente «Sì, direi che ci sono elementi significanti per il fermo.» sorrise in un modo che Loretta non si sarebbe mai aspettata «Proceda, pure».

«Certamente dottore.» fece un cenno a Mario «Portala in macchina e assicurati che non ci sia qualcuno col cellulare pronto a spedirla sul web».

«Era un bastardo che si divertiva a giocare con i sentimenti delle persone!» Marika iniziò a gridare «Tutte le ho provate, ma niente! Lui era l’irremovibile primario che non si concedeva a nessuna!» puntò il dito contro Selle «Tu, bastardo! Non sei mai al tuo posto, ma oggi sì. Se ti fossi fatto un giro come al solito avrei rimesso le chiavi a posto!».

Loretta finse di non sentirla e mentre Mario la portava via, Marika, continuava a sbraitare cose senza senso.

“Uccidere in nome dell’amore, che cosa stupida” pensò.

«Bene, abbiamo una confessione spontanea. I miei complimenti ispettore Barcolli».

Loretta decise che poteva concedere un sorriso al magistrato.

«Vado alla macchina per capire se quella donna ha il numero di un avvocato o se devo tirare giù dal letto qualcuno per chiudere questa storia in fretta.» Ciacci se ne andò a passo svelto senza nemmeno attendere una risposta. Avrebbe dovuto aspettare lui la scientifica e il medico legale.

Lei, invece, doveva fare un’ultima cosa prima di andarsene. Si avvicinò al responsabile della sicurezza con la scusa di stringergli la mano, ma aveva altro da chiedergli.

«Senta,» prese centocinquanta euro dal portafogli «porti Giulio a darsi una ripulita e gli prenda degli abiti nuovi, ma non deve sapere che sono io a pagare».

«Ma io…»

«S’inventi qualcosa. Arrivederci».

Loretta si avviò verso il parcheggio con Rocco alla sua sinistra.

«In quanto a te…»

«Dimmi.» l’uomo non traspariva alcuna emozione.

«Sei promosso sul campo. Da domani sarai il mio compare».

«E Mario?».

«Il commissario gli troverà altro da fare, sono stufa di lui».

Loretta ripensò a occhi di cristallo e decise che l’unica consolazione sarebbe stato del buon cibo, come la sua lasagna abbandonata in ufficio, ma dovevano aspettare che il magistrato decidesse di far portare l’infermiera al commissariato.

«Andiamo a mangiarci qualcosa al fastfood che c’è dall’altra parte della strada?»

«E lasciamo Mario in macchina a fare la guardia alla psicopatica da solo?»

«Che ne sai tu? Magari quei due si prendono bene e lui riesce a combinarci qualcosa senza farsi ammazzare.» Loretta scoppiò a ridere e Rocco non fu da meno.

«A proposito,» Loretta fissò Rocco «ti toccherà pagare per tutti e due, sono al verde».

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