CALL PREMIO STREGA – NARRANDOM – PER SEMPRE

Tempo di lettura stimato in: 3 minuti

Ho partecipato a una call del sito Narrandom dove bisognava scegliere una parola tra tre e usarla come tema per un racconto. Purtroppo non è stato selezionato e mentre attendo il macro editing ho deciso di pubblicare la versione partecipante. Le parole tra cui scegliere erano: FEROCIA, MEMORIA e BUIO.

Io ho scelto FEROCIA.

Buona lettura.


PER SEMPRE

 

Pietro arrivò a casa fradicio di sudore, un fine settembre così caldo non lo ricordava. La chiave girò silenziosa nella serratura, di fatto l’aveva ben lubrificata la sera prima per eliminare ogni possibile cigolio. Lo stesso valeva per i cardini dell’anta in legno scuro e blindata che ruotò verso l’interno senza sforzo alcuno. La notte stava scendendo e la finestra era insufficiente per illuminare quei trenta metri quadrati di soggiorno arredati con minimalista modernità e chiuse la porta con lentezza evitando qualsiasi rumore molesto.

Lei era lì, al solito posto, le passò dietro indifferente, senza accendere nemmeno la luce, e proseguì verso la camera da letto. La stanza, rivolta a ovest, era ancora bagnata dal sole morente che, col suo arancio, colorava le pareti e i mobili chiari, ma non la sua anima.

Si tolse gli abiti del lavoro e sistemò con cura giacca e pantaloni neri sull’attaccapanni poco distante, la camicia grigia finì in terra assieme alla cravatta. Più tardi li avrebbe gettati nel cesto dei panni da lavare. Prese dalla sedia, accanto all’armadio, gli abiti comodi che usava in casa e si vestì lentamente. Erano già passati sette giorni dall’ultima volta che lei gli aveva parlato e il silenzio era diventato un dolore impossibile da contenere.

Osservò lo specchio appeso al muro sopra la cassettiera di legno chiaro e ci trovò lei che lo fissava con quei tizzoni scuri negli occhi e il sorriso malizioso. L’ignorò e uscì dalla stanza diretto in bagno.

Entrò e si avvicinò al lavandino squadrato e trasparente che lei lo aveva convinto ad acquistare, sollevò la maniglia a becco d’aquila del rubinetto nero lucido e abbracciò il liquido trasparente. L’acqua fresca sul viso lenì la sua arsura e la doccia poteva aspettare. Restò diversi minuti a fissarsi allo specchio, tanto lei in quel bagno non entrava.

Affiorarono i ricordi della prima volta che si incontrarono nel gruppo di amici in comune, sempre vicini nelle foto delle feste, inseparabili quando c’era da impegnarsi per aiutare qualcuno; uno schiaffo dietro l’altro mentre osservava il suo riflesso. Distolse lo sguardo da quel viso segnato dalle notti in bianco e uscì dalla stanza. La notte aveva preso piede e fu costretto ad accendere la luce del soggiorno.

Lei era di spalle in quel vestito da sera nero che le lasciava scoperta parte della scapola destra mettendo in mostra un fiore di loto tatuato da un maestro del mestiere. Otto anni prima era stato lui ad accompagnarla in uno studio lì vicino partecipando alla scelta del soggetto.

L’anno dopo l’aveva vegliata per una settimana in una terapia intensiva a cinquanta chilometri da casa.

Era lì che l’aveva sentita davvero sua.

L’atroce silenzio gridava frasi mai dette e pensieri omessi, ricacciati a forza nel cuore passando per la gola.

All’improvviso gli venne in mente la cucina, lì avrebbe trovato ciò che faceva al caso suo. Entrò nel locale e andò verso la cassettiera accanto al lavello, aprì il secondo cassetto, cercò nel suo interno e ne estrasse il coltello con la lama più lunga che aveva.

Sarebbe bastato per chiudere lì la questione.

Osservò il suo viso riflesso da quella lama ben pulita, lei era in soggiorno silenziosa e bellissima. A quel pensiero, la furia montò in lui, doveva smettere di soffrire inutilmente.

Si spostò con rapidità nell’altra stanza, era di spalle, il bicchiere in mano. In un attimo il coltello affondò nella scapola recidendo il gambo del fiore, poi colpì il fianco destro e in successione il sinistro. Nessun gemito, solo vetri rotti.

Si spostò e attaccò il viso con un primo fendente.

I ricordi gli esplosero in testa.

La prima vacanza insieme, le confessioni, l’uno che sosteneva l’altro quando la vita era troppo dura, anni in cui si raccontarono tutto senza segreti.

Tranne uno; che l’amava.

Aggredì quel volto dal sorriso sempre pronto con ferocia e accecato dalle lacrime. Si sfogò urlando e infierendo inginocchiato su quell’amore che l’aveva lasciato solo.

“Marco è geloso, non possiamo vederci più.” gli aveva detto una settimana prima e lui si era tenuto il segreto che lo opprimeva da anni, tanto lei non avrebbe capito neanche quella volta.

Ne aveva visti passare altri nel tempo, ma erano durati tutti poco e lui l’aveva sempre capito da subito. Non erano in grado di stare accanto a lei, mentre lui era stato presente tutte le volte che soffriva, in attesa della sua possibilità. Poi arrivò Marco e le cose cambiarono, lentamente ma inesorabilmente.

Si asciugò il viso con l’avambraccio destro, la mano impugnava ancora il coltello e quasi si tagliò una guancia. Iniziò a raccogliere i vetri e ciò che restava della grande fotografia che aveva fatto a pezzi, poi raccolse le piume fuoriuscite dal cuscino con il primo piano di Sabrina che sorrideva abbracciata a lui.

Ora poteva dedicarsi alle altre foto rimaste e cancellare quell’amore per sempre.

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