CALL LA MATITA ROSSA – LIBERAZIONE

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Racconto scritto per la CALL della rivista letteraria redatta dall’agenzia La Matita Rossa, link: https://lamatitarossa.it/

Il racconto, LIBERAZIONE, non è stato selezionato per essere pubblicato nel primo numero della rivista Just-Lit, link: https://lamatitarossa.it/2021/03/31/just-lit-rivista/, e ora posso pubblicarlo qui.

Buona lettura.


La domenica era quasi agli sgoccioli ed Ettore l’aveva passata ad ascoltare la televisione scandire la stessa notizia da ore. Ed eccola lì, la sua vecchia compagna di scuola, Marina, diventata la giornalista di punta di una grossa emittente nazionale. Alzò il volume, la voce di Marina era sempre stata eccitante per lui.

«Oggi si festeggia l’invenzione del chip biologico molecolare che ha portato enormi benefici nella nostra società moderna. Sono passati cento anni e da allora la vita media si è allungata di ben quarant’anni e la nostra condizione sociale e di salute è migliorata. Oggi, però, si sono svolte anche delle manifestazioni contro questo successo della tecnologia al grido: ”Siamo solo prigionieri del governo mondiale”.» Marina lanciò il servizio.

«Anche tu hai subìto il lavaggio del cervello. Eppure non eri così stupida».

Spense la TV, nei giorni successivi sarebbe successo ciò che molti aspettavano da anni. Doveva solo attendere ancora un po’ per entrare in azione, disabilitare il cluster della sua area ed essere libero.

Nessuno più avrebbe saputo dove si trovava, cosa stava facendo, di cosa parlava e di tutto ciò che aveva a che fare con la sua vita privata. Le catene invisibili che lo imprigionavano sarebbero sparite nel nulla.

Per mantenere il segreto era tornato a usare mezzi di comunicazione antichi ma efficienti. Le istruzioni per costruire il sistema di disturbo per offuscare la sua posizione e quella dei suoi compagni erano scritte su carta, materiale che non si produceva più da cinquant’anni. Erano stati cancellati vecchi libri e riscritti con i progetti e la lista dei materiali necessari alla costruzione. Ettore ea un brillante ingegnere, ma il progetto era alla portata di tutti.

L’offuscamento sarebbe durato appena cinquanta minuti, poi il sistema avrebbe compensato il disturbo e sarebbero stati rilevati nella posizione corretta. Dovevano attivare il di-spositivo e raggiungere l’obiettivo in fretta.

Durante l’azione non avrebbero potuto usare il pensiero, ne parlare, così avevano scelto la lingua dei gesti.

Gli incontri per organizzare la missione si erano svolti spostandosi in modo casuale nelle abitazioni dei tre amici in modo da ingannare l’intelligenza artificiale connessa al si-stema. Solo le abitazioni private erano isolate dalla rete globale e nessuno ai centri di controllo poteva sapere cosa stessero facendo le persone all’interno, a meno che ci fosse l’autorizzazione del proprietario per necessità mediche o di sicurezza personale.

Era l’unica vittoria ottenuta negli anni contro il sistema.

Contro Ghost.

Ettore accese un dispositivo alla volta verificando l’emissione del campo digitale, la banda e lo scostamento periodico generato, assicurandosi che fosse stabile e prodotto a caso.

Doveva occuparsi anche degli apparecchi anti scarica, pote-va solo misurarne il campo di deflessione elettromagnetico assicurandosi che fosse della giusta potenza e sperare fun-zionassero. La sorveglianza del cluster era dotata di fucili Tesla Lamba 4 e una scarica di quei cosi uccideva all’istante un elefante. Accese il dispositivo e lo strumento di misura confermò che il campo elettromagnetico era della potenza giusta.

Era il momento di andare a dormire, anche se avrebbe passato un’altra notte in bianco attendendo la liberazione.

Due giorni passarono in fretta, Ettore aveva svolto la sua vita come sempre. Era andato a lavorare portando avanti i suoi doveri, frequentato la palestra e il solito bar.

In quel momento era in viaggio in una navetta della linea ultra veloce a vuoto spinto che permetteva di coprire distanze enormi in pochissimo tempo. Stava raggiungendo la casa di Marco e ogni cinque secondi le porte si aprivano per far scendere o salire le persone in base alla capienza della cabina da cinquanta posti. Passò in rassegna tutti i presenti con la paura addosso di essere stato scoperto. Dopo un viaggio di appena tre minuti, e quindici chilometri percorsi, uscì dalla stazione sotterranea ai limiti della città. Davanti a lui si estendeva la campagna e Marco era uno dei fortunati a potersi permettere una casa in mezzo alla natura.

Dieci minuti più tardi il suo pensiero amplificato avvisò Marco di essere davanti alla barriera d’ingresso e pochi secondi dopo il campo energetico si dissolse per riattivarsi subito dopo il suo passaggio. Il vialetto in ghiaia bianca faceva una leggera curva verso sinistra e lo percorse fino al portico che ricordava le case antiche. La porta d’ingresso era della stessa fattura ma non ruotò sui suoi cardini dall’aspetto vecchio e arrugginito, bensì scivolò verso destra con un sibilo appena percettibile.

Entrando nel soggiorno moderno e luminoso mostrò le due bottiglie di vino e parlò utilizzando la sua voce naturale. Pochi minuti più tardi arrivò Giulio con una torta.

L’inganno era completo.

Ettore aiutò i suoi compagni a indossare il dispositivo anti scarica e il bracciale per l’offuscamento della posizione. Aveva pianificato il percorso migliore per raggiungere il cluster situato in aperta campagna, calcolato il tempo per raggiungerlo e quello rimanente per disabilitarlo e rendere libere le persone nell’area di circa cento chilometri quadrati.

Conosceva a memoria la piantina dello stabile, il punto migliore per oltrepassare la recinzione e dove entrare, ogni singola svolta, porta, stanza e scala per raggiungere la sala di controllo.

Lui era la guida e l’avanguardia armata, Marco colui che avrebbe messo le mani sul sistema rendendo accessibili i punti di disconnessione e Giulio la retroguardia del gruppo. Appena abilitati i punti di disconnessione avrebbero dovuto spegnerli entro venti secondi e con un ritardo massimo tra loro di soli cinque decimi di secondo.

Il tempo passò in fretta, Giulio consegnò ai compagni le armi poco più grandi di un pugno della mano, ma che erano in grado di rendere inoffensiva una persona.

Ettore mostrò la mano destra all’altezza del viso chiusa a pugno, poi aprì tre dita. Ognuna valeva dieci secondi. Gli altri annuirono, le dita si chiusero una dopo l’altra, tutti attivarono i bracciali e sincronizzarono il timer del loro orologio biologico. Uno dei tanti prodigi del chip.

Uscirono dalla casa e raggiunsero il LEV, un nuovo tipo di veicolo prodotto in Giappone che utilizzava un motore antigravitazionale tra i primi al mondo. Ettore non poteva permettersi un giocattolo del genere, Marco sì. Entrarono in quello che sembrava un’oliva gigante, all’interno c’erano quattro posti e tutto era arrotondato e con luci soffuse. Et-tore non era mai entrato in un LEV.

Il portello si chiuse automaticamente e in pochi secondi sentì la spinta verso l’alto e poi in avanti. Sarebbero at-terrati a due chilometri dal cluster, e poi avrebbero proseguito a piedi tra i campi. Venti minuti per arrivare e trenta per entrare e disabilitare tutto.

Ettore pensò a quale manovra del destino li aveva fatti incontrare. Marco lo aveva conosciuto in palestra due anni prima a causa di un malinteso con l’iscrizione e in poco tempo avevano raggiunto un affiatamento da amici di vecchia data. Giulio l’aveva urtato durante una manifestazione sportiva ed erano finiti a correre insieme tre giorni a settimana. Tutti e tre erano stanchi del controllo totale che la società aveva su di loro. Un giorno Marco entrò in contatto con tizio che asseriva di far parte della coalizione di liberazione, arrivarono i primi disegni e in sei mesi furono pronti per l’azione.

Marco azionò i comandi del LEV facendolo scendere di quota, poi lo fermò completamente. Ettore balzò fuori dal velivolo col cuore che gli rimbalzava nel petto, ora aveva paura dello scontro e di non fare più ritorno a casa. Cercò di calmarsi, non era più possibile tornare indietro e non era sua intenzione farlo.

Iniziarono a muoversi attraverso i campi in direzione ovest. La notte era buia in quel posto, ma in lontananza iniziarono a distinguere delle luci. Era il cluster.

Dieci minuti più tardi, come da programma, arrivarono nei pressi della struttura. Silenziosi costeggiarono la recinzione fino a una zona buia e coperta dagli alberi. Giulio si arrampicò sulla rete scavalcandola con facilmente e si mise in copertura. Il secondo fu Marco ed Ettore lo seguì immediatamente. Estrasse la sua arma. Si misero in movimento vicini alla recinzione, gli occhi a caccia nelle ombre.

Ettore, in avanguardia, sollevò la mano sinistra a pugno sopra la spalla bloccando gli altri.
Davanti a loro camminava una guardia.

Ne osservò i movimenti, il Tesla Lambda 4 era più grosso di quello che si aspettava e la distanza dall’obiettivo era perfetta. Puntò l’arma davanti al viso, trattenne il respiro e schiacciò il grilletto. Il minuscolo dardo schizzò via con un leggero rinculo verso il bersaglio. La micro scarica fece accasciare a terra il nemico scosso dai tremori. Avevano trenta secondi per bloccarlo con dei pezzi di corda in acciaio morbido.

Sistemarono la guardia dietro un muretto poco distante e proseguirono in cerca della finestra lasciata aperta per loro.

Il perimetro era esagonale, stavano percorrendo il terzo lato quando arrivò un’altra guardia. Non doveva essere lì, qualcosa era cambiato. Ettore fermò nuovamente il gruppo, avevano ancora ventidue minuti, doveva decidere se attaccarlo o lasciarlo passare. La finestra era sul lato successivo dell’edificio, anch’esso della stessa forma del recinto. Sul quarto c’era l’ingresso principale. Ettore decise di lasciar stare il nemico, che sembrava rilassato, e di non sfidare la fortuna avuta fino a quel momento.

Tutti ripresero a respirare e a muoversi. Proseguirono seguendo la recinzione e raggiunsero il primo obiettivo. Ettore si sganciò dal gruppo, sicuro della copertura offerta da Giulio, e raggiunse il muro della costruzione.

La finestra era socchiusa quel tanto che bastava per farla sembrare serrata. Ettore la spalancò lentamente, un bagliore tenue rischiarava appena lo stanzino che serviva da guardaroba dei dipendenti. La porta era aperta.

Scavalcò il davanzale e atterrò sul pavimento, restò basso ma sollevò il braccio destro sopra la testa e attese. Pochi secondi dopo i suoi amici erano accanto a lui. Chiuse la finestra e controllò il timer di missione.

Restavano diciotto minuti.

Ettore sgusciò fuori dalla stanza arma in pugno e raggiunse rapido la prima svolta. Un uomo era fermo poco più avanti, controllava il suo polso sinistro, era un display in proiezione. Improvvisamente imbracciò il Tesla e si voltò verso di lui. I due sguardi s’incrociarono per una frazione di secondo ed Ettore esitò. L’arma del nemico vomitò un fulmine abbagliante, seguito da un forte schiocco, che gli rimbalzò addosso tornando verso il proprietario. Quello fu scaraventato contro il muro e finì in terra fumante.

Ettore restò immobile a fissare il corpo. La sua determinazione crollò in un’istante, non era quello che aveva immaginato potesse accadere. Si voltò per tornare alla finestra e andarsene. Mosse un paio di passi ma fu bloccato da Marco.

«Non è il momento di crollare.» sussurrò rischiando di farli scoprire.

Ettore sentì la pressione sul braccio e quella del fallimento nell’anima.

Tornò al suo posto, la via era sgombra e proseguì in direzione della scala che li avrebbe portati nel sotterraneo. Scesero di un piano finendo in un piccolo atrio con due porte, una in fronte all’altra. Sapeva quale aprire e lo fece lentamente. Una guardia gli dava le spalle, lui la stordì. Giulio sistemò quella che arrivò alle loro spalle dalla scala e si prodigò nel legarla.

Seguirono il corridoio, un addetto alle pulizie sbucò fuori da una stanza laterale. Ettore lo ricacciò dentro a forza e lo legò. La porta che cercavano era più avanti alla loro destra. La raggiunsero, Ettore sapeva che avrebbero trovato quattro persone all’interno, ma nessuna sarebbe stata armata.

Aprì l’anta il necessario per poter sbirciare all’interno, tre erano in vista. Infilò l’arma nella fessura e mirò. Due crollarono al suolo, il terzo schizzò in piedi dalla sua posizione e sparì alla vista.

Spalancò la porta e si precipitò dentro seguito dai compagni. Ne trovarono altri tre, uno aveva un fucile Lamba e sparò mancandoli. Giulio lo stordì ed Ettore si occupò degli altri due sperando che non fossero riusciti a dare l’allarme.

Avevano ancora dieci minuti.

Marco si mise al terminale mentre Giulio bloccò la porta in previsione dell’arrivo di altri nemici. Ettore si riparò dietro uno dei banconi tenendo sotto tiro la porta, ma la sua mente iniziò a vagare nei ricordi di come era stata la sua vita fino a quel giorno. Immaginò il futuro in cui i suoi pensieri sarebbero stati occultati, in cui non sarebbe stato rintracciabile facilmente e in cui poter invitare una ragazza a casa senza rischiare la segnalazione per un’eccessiva dif-ferenza sociale.

Infine gli venne in mente Marika, sua sorella. Per lei il chip era un salvavita contro la sua malattia genetica che coinvolgeva il cuore.

Disabilitarlo poteva ucciderla.

«No!» gridò all’improvviso schizzando in piedi.

Marco lo fissò spalancando la bocca mentre veniva spostato dalla consolle di comando con una spallata.

«Mia sorella morirebbe!».

«È il prezzo da pagare per essere liberi.» sussurrò Marco «E poi non sappiamo cosa accadrà veramente».

«Quanti ne uccideremo disabilitando il cluster? Te lo sei chiesto?».

«Quanti ne saranno uccisi se falliamo? Non si può tornare indietro.» sospirò «Togliti, dobbiamo essere in tre e il tempo corre».

Il timer biologico indicava cinque minuti e poi sarebbero stati rilevati, forse ne avevano uno o due in più. Non lo sapevano con certezza.

Ettore non ebbe altra scelta.

«Perdonami Marika.» sussurrò con le lacrime agli occhi mentre lasciava il quadro comandi.

«Vai, a breve avrò finito».

Ettore raggiunse uno dei punti di disconnessione, Giulio era già al suo posto. Marco sollevò la mano sinistra dalla consolle. Quindici secondi a partire da quel momento. Un solo tentativo, una sola possibilità.

Ettore attese il segnale, la mano di Marco si abbassò e la sua destra schiacciò il pulsante.

Il timer biologico arrivò a zero.

All’interno della stanza si spense tutto, restò attiva solo l’illuminazione al soffitto.

Dentro di loro accadde qualcosa di inspiegabile.

Ettore si sentì improvvisamente solo, incapace di percepire quella presenza collettiva a cui era abituato da sempre.

Tentò di contattare Marco usando le onde cerebrali, ma fallì. Scoprì però che il chip, in parte, funzionava ancora, aveva solo perso il contatto con il mondo esterno ma comuni-cava ancora i suoi parametri vitali e tutto ciò che riguardava il corpo.

Forse c’era una speranza per Marika.

Ora dovevano attuare l’ultima parte del piano e distruggere il cluster per sempre.

Venti minuti dopo, Ettore e compagni osservavano la densa colonna di fumo nero che si levava sopra l’area della struttura. Salirono sul LEV, mentre dal resto del mondo arrivavano notizie di disordini e incendi.

La rivolta era iniziata.

Ettore tornò in città e corse a casa dei suoi genitori. Fu costretto a bussare più volte, il cuore impazzito, e quando aprirono la porta si trovò davanti Marika.

Era salva.

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