IO SONO QUI

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Questo è il racconto in cui sperimento la Seconda Persona Singolare Presente, a seguire pubblicherò lo stesso racconto trasformato in prima e terza persona per farvi apprezzare le differenze.

L’asfalto sfila sotto le ruote della tua bicicletta, sei il protagonista di un sogno coltivato da quando faticavi a stare in piedi; ma col triciclo eri una scheggia.
La strada si snoda tra le montagne, in una valle quasi claustrofobica, l’aria è impregnata del profumo dei pini e qualcos’altro che non riconosci.
Il gruppo è avvolgente, ti trovi quasi al centro, sei un signor nessuno approdato solo da un anno tra i grandi corridori. Eppure sei lì, pronto a dimostrare quanto vali, con la passione in corpo prima dei guadagni.
Pochi minuti e inizierà la salita finale, non la temi, è il tuo terreno ideale. Saranno dodici chilometri con pendenze difficili, anche il diciotto percento, ma sai che puoi farcela, perché sei nato per questo. Ti guardi attorno, sei circondato da nomi illustri e la tua squadra è poco più avanti a tenere in gara il capitano.
Il tuo capitano.
Mancano solo un paio di chilometri, pensi ai sacrifici fatti, le ore in sella, i commenti di quelli ti classificano come dopato, anche se tu quella robaccia non l’hai mai toccata. Nessuno, oltre te e chi hai attorno, può capire cosa nasconda una salita, cosa significhi superare i propri limiti, lottare per arrivare alla fine, fare delle rinunce per lo sport che ami.
Controlli i battiti, lo fai continuamente, sono bassi, ma lo sai già perché non hai il fiatone.
Il percorso lo hai studiato a memoria, lo hai sognato la scorsa notte e conosci ogni tornante. Ecco la curva attesa, dietro quel casolare vecchio e malandato la strada s’impenna col primo dieci percento, ma non è il momento giusto. Devi aspettare, il gruppo deve allungarsi, qualcuno dovrà pur mollare. È stretta, lo sapevi, lo sanno tutti e cercheranno di perderla a destra per sfruttare il rettilineo che si allargherà pochi metri dopo. Tu, invece, resti largo sulla sinistra, sfiori i tifosi dietro le transenne, cerchi il loro calore; in terra i nomi dei grandi campioni uno dietro l’altro sul rettilineo, davanti a te la sagoma della montagna.
Sei ancora nel gruppo dei migliori, resisti mentre uno dei tuoi compagni ti sfila di fianco e ti indica di continuare a tirare il capitano, è un tuo dovere, ti pagano anche per questo.
In salita si resta seduti, alzarsi serve solo per rilanciare l’andatura, lo sai eppure non resisti, devi provare le gambe e la reazione degli altri. Ti alzi e spingi sui pedali, è un vero e proprio scatto, qualcuno crede che tu ci stia provando e tenta di seguirti, ma il tuo scopo è diverso. Raggiungi il capitano, Marco è in forma però non ha la salita nel sangue, lo passi senza difficoltà mentre perdi un altro compagno, ti metti davanti e gli fai capire che lo porterai su fino al traguardo.
Arriva il primo tornante e in tutto saranno otto, il gruppo è folto, non è ancora il momento. Guardi a destra la valle illuminata dal sole di metà maggio, qualcuno ne approfitta per prendere fiato, tu no. Guidi Marco aumentando l’andatura, bisogna risalire il gruppo prima del terzo tornante, dopo sarà tardi perché qualcuno tenterà di andare via.
Succederà sicuramente.
La salita si inerpica prima della seconda curva, questa volta sarà a sinistra, la fila si allunga, ma nessuno cede del tutto. L’obbligo è arrivare tra i primi venti prima del pezzo alla massima pendenza, lo sai tu e tutti i grandi scalatori che hai attorno. Gente tosta che a mala pena ti saluta e il loro saluto lo vuoi conquistare.
Mentre affronti il secondo tornante guardi sotto, il serpentone si sta distendendo, le ammiraglie sono relegate in fondo al gruppone, il capitano è ancora alla tua ruota e siete gli unici della squadra a non aver mollato.
La gente grida, corre, si affianca, ma è ancora poca, lo spettacolo vero arriverà verso la fine tra la neve che resiste al caldo nascosta nell’ombra e i tifosi ammassati ai bordi della strada.
Il contachilometri segna i meno nove all’arrivo, davanti c’è il terzo tornante, è largo e la pendenza sarà leggera.
È il momento perfetto per attaccare, altrimenti dovrai attendere fino ai meno quattro, sempre che nessuno lo faccia prima di te.
La vista da quel punto è meravigliosa, nessuno tenta la fuga, sei in un gruppo di una trentina di corridori e il tuo capitano è ancora a ruota. Lo guardi e capisci che è al limite. Non puoi accelerare, il tuo compito è portarlo in vetta, lui è un uomo da classifica.
Pensi a Bea, a casa davanti al televisore, le hai detto, due giorni fa, di non aspettarsi niente perché lì è dura e ci sono regole da rispettare ben precise. Ti manca, sono due settimane che non la vedi, non la tocchi, non la respiri e quando tornerai le chiederai di sposarti.
Il rettilineo prima del quarto tornante è lungo e la pendenza è costante, si può riprendere fiato e tutti lo stanno sfruttando. I minuti passano come i tifosi che superi, alcuni sono mascherati e altri hanno il demonio in corpo che li fa correre, sbandare, saltare.
La curva è a sinistra, la gente è aumentata, grida, gesticola, qualcuno cade. Il contachilometri segna meno sette, una moto dell’assistenza ti passa a sinistra, quella della televisione a destra, Marco è ancora a ruota e sembra si sia ripreso e con il rettilineo ritorna la pendenza, l’altimetria che hai studiato la pone all’otto percento, si può fare la differenza. È un pensiero comune il tuo e qualcuno scatta seguito a ruota, sono in tre, hanno preso già quindici metri.
Acceleri, devi portare il capitano sui fuggitivi, lui resta dietro, fiero e coraggioso, ma sai che non può darti il cambio. Altri due si aggregano all’inseguimento, il biondo svedese dal caschetto nero che seguivi con apprensione in tv dieci anni fa, lui che non sa di essere il tuo idolo, ti regala la sua scia e tu non te lo fai ripetere due volte. L’altro è un giovane signor nessuno come te, altra squadra, altro destino, stessa voglia di emergere.
Dopo il quinto tornante la situazione non cambia molto, i tre davanti li puoi vedere, ma il loro distacco non diminuisce e Marco comincia a dare segni di cedimento. Sta diventando un peso troppo grande per te che scalpiti sui pedali, controlli le pulsazioni e sono sempre centocinquanta circa, hai ancora battiti da vendere.
Meno cinque chilometri, i lati della strada sono invasi dalle persone che ti incitano pur non sapendo chi sei e tu ti sciogli col cuore che grida di essere liberato nello sforzo finale. Guardi dietro di te, non vedi la moltitudine dei corridori che ti seguiva, sono tutti lontani, troppo per tornare a prenderti.
Il giovane belga scatta da dietro Marco, lo vedi passarti accanto, non ti guarda nemmeno, sorpassa il tuo eroe biondo e se ne va.
Non puoi permetterlo.
Guardi il tuo capitano, i tuoi occhi nascosti dalle lenti da sole cercano i suoi, lui capisce anche se non vi vedete, ci pensa, comunica con l’ammiraglia con il suo auricolare e ti mostra il pollice in su.
È l’occasione che aspettavi da tempo.
Liberi l’energia repressa in uno scatto che lascia i tifosi increduli, per poi farli esplodere. Si affiancano mentre sorpassi il campione svedese e lo lasci indietro, recuperi sul belga all’interno del sesto tornante. Applausi e urla, qualcuno ti tocca la schiena, nel mirino hai i fuggitivi.
Arriva il tratto al diciotto percento, trecento metri, lo sapevi, è poco prima del settimo tornante. Torni seduto, prendi fiato mentre ti unisci ai fuggitivi, male che andrà arriverai quarto, ma tu vuoi entrare nella storia. Li osservi, non collaborano, ognuno ha in mente solo la vittoria.
Meno tre chilometri, controlli i battiti, centosessanta, la folla chiude la strada e si apre davanti a voi quattro. Odore di sudore misto a fiori e pini riempe le tue narici, ti alzi di nuovo e quel muro di persone decidi di sfondarlo. Scatti sulla destra, cinquanta metri o poco più c’è la curva e la prenderai all’interno, nessuno tenta di fermarti.
Il cuore ora sembra scoppiarti dentro, ma non puoi mollare, devi farlo per la squadra, per il capitano, per Bea che prima o poi porterai a godere del fantastico panorama che stai vedendo, ma soprattutto per chi tempo fa ha creduto in te regalandoti la prima bicicletta da corsa.
Copri in fretta la distanza che ti separa dal penultimo tornante e dal triangolo rosso dell’ultimo chilometro. Rilanci, ora la strada è meno in pendenza, guadagni velocità e metri, la folla esplode costretta dietro una cortina di uomini delle forze dell’ordine.
L’ultima curva è solo una conferma, guardi dietro prima di affrontarla e sei solo. Davanti hai gli ultimi trecentocinquanta metri, ti trovi dentro un sogno che speri non finisca mai, rallenti quel tanto che ti basta per goderti questo momento di gloria.
Senti le guance bagnarsi, sono lacrime che cominciano a scendere, gli ultimi cento metri quasi non respiri dai singhiozzi.
Guardi in alto, poco prima dell’arrivo, ti segni, mi cerchi con i tuoi occhi chiari nascosti dalle lenti da sole, invochi il mio nome e io vorrei dirti che ci sono, tuo nonno è qui e ti ha visto vincere, ma non mi è permesso.
Posso soltanto annegare nel mare di sensazioni e sentimenti che sento e che ti appartengono.

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