OSSERVATORI

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Il treno era affollato di pendolari e trovare posto era sempre un’impresa, fortunatamente, quella mattina, riuscì a sedersi subito senza dover attendere che qualcuno scendesse a una delle stazioni successive.
Per un po’, Elena, osservò la vita fuori da finestrino, ma presto si annoiò e i suoi pensieri andarono alla sua collezione di orologi da polso e al pezzo che stava attendendo con ansia da diversi giorni.
Pensò che non ne aveva mai indossato neanche uno, erano chiusi in una vetrinetta, ognuno sul suo piedistallo, egualmente distanziati tra loro e divisi per dimensioni simili.
Il treno, invece, era una brodaglia di esseri, molti dall’aspetto trasandato, altri vestiti in modo signorile ma educati da qualche topo di fogna. Difficilmente qualcuno le cedeva il posto e questo le dava fastidio, era giovane ma era pur sempre una donna.
E lei il posto agli anziani lo cedeva sempre.
Il tizio che aveva di fronte stava ronfando con la testa nascosta nel cappuccio di una felpa grigia, gli occhi erano celati da occhiali da sole con le lenti a specchio dalla forma arrotondata.
Elena osservò il suo viso riflesso, la precisione era evidente, il suoi capelli biondi, di natura ondulati, erano raccolti in una cipolla dalla rotondità pressoché perfetta, il trucco intorno ai suoi occhi grigi era simmetrico e senza sbavature. I capelli acconciati in quel modo mettevano in risalto il collo e gli orecchini con un pendente di brillantini appena accennato.
Elena era presa così tanto dai suoi pensieri, da non accorgersi che la sua borsetta si stava allontanando in mano a un estraneo.
Passarono diversi secondi, poi qualcosa scattò nella sua testa cancellando ogni riflessione in corso, le sembrava di aver visto passare qualcuno con qualcosa che le apparteneva, si osservò le mani e scoprì la verità.
Si guardò attorno freneticamente, cercò in terra, passò in rassegna ogni sguardo che poteva incrociare dalla sua posizione senza trovare conferme.
La maggior parte delle persone leggeva o dormicchiava, si maledì per essersi estraniata dal mondo in quel modo, ma in quel periodo le capitava spesso. Aveva iniziato  osservare il mondo con occhi diversi.
Si alzò in piedi, la direzione che ricordava era davanti a sé, iniziò a camminare controllando ogni persona seduta. La fermata successiva era ancora distante e il ladro non poteva essere sceso dal treno in corsa.
Passò alla carrozza successiva, senza trovare niente, cercò tra tutte le persone presenti, arrivò in fondo, restava solo il vagone di testa.
L’avrebbe trovata.
Appena oltrepassò il vano di comunicazione tra i due vagoni, avvistò il capotreno, un uomo sulla quarantina in evidente sovrappeso.
«Mi hanno appena rubato la borsa.»
«Ne è sicura?»
«Sì, mi sono distratta per qualche secondo e qualcuno ne ha approfittato.»
«Mi toccherà  fermare il treno alla prossima stazione per far salire gli agenti della polizia ferroviaria.» il controllore sospirò «Questo farà imbestialire molti passeggeri.»
«Me ne frego degli altri, rivoglio le mie cose!»
«Va bene, adesso faccio un giro per vedere se qualcuno si comporta in modo strano. Lei torni al suo posto e provi a ricontrollare. In che carrozza la posso trovare?»
«Quella a metà treno.»
«Ok.» il capotreno si allontanò con il cellulare all’orecchio.
Elena ritornò al suo posto trovandolo occupato da un ragazzo sulla trentina o poco meno. Indossava dei jeans strappati alle ginocchia, le scarpe avevano visto tempi migliori e la t-shirt rossa spiccava in contrasto con il grigio del sedile.
Lui la fissò, gli occhi cielo rotearono come ad indicare una scocciatura. La bocca accennò un leggero sorriso.
«Prego…» il ragazzo si alzò.
«Grazie.» Elena ricambiò il sorriso e si accomodò al suo posto. Il tizio col cappuccio russava ancora e della borsetta nessuna traccia.
Il ragazzo era in piedi accanto a lei e ogni tanto si faceva beccare mentre la guardava.
«Mi chiedevo quanto ci avresti messo ad accorgerti della tua borsa.»
«Scusa?» Elena fissò il ragazzo dritto negli occhi scoprendo che erano interessanti.
«Sì, questa.»
Tra le mani del giovane comparve un oggetto che lei riconobbe immediatamente.
Con un rapido movimento recuperò la borsetta, era tentata di assicurarsi che tutto fosse in ordine, ma si concentrò su chi le stava accanto. Puntò lo sguardo accusatorio verso quel tizio e cercò le parole giuste da pronunciare.
«Jan» esordì lui interrompendo il flusso di pensieri
«Io sono Jan» confermò con la mano destra tesa
«E…lena.» la voce le si inceppò inspiegabilmente.
Strinse la mano a Jan e poi lo aggredì verbalmente.
«Sei stato tu a prendere le mie cose! Spera che dentro ci sia tutto, perché alla prossima stazione ti denuncio!»
«Non ho toccato niente e poi posso sempre dire che l’ho trovata in terra. La tua parola contro la mia.»
«Che cosa vuoi ancora?»
«Scusarmi per averti fatto questo piccolo scherzetto. Però forse è meglio che tu avvisi il capotreno.»
«Si sarà già dimenticato.» Elena non sapeva se continuare a parlare con Jan o chiudersi nel suo solito silenzio.
«Sei sempre così seria…»
«Non ti riguarda, ladro.»
«Non volevo rubarti nulla, mi serviva una scusa per attirare la tua attenzione.»
«Ci sei riuscito benissimo. Adesso se, per cortesia, mi lasci in pace… Grazie.»
«Tanto tra un po’ scenderò.»
Il treno iniziò a rallentare in prossimità della stazione, Jan controllò fuori dal finestrino, il sole delle sette e trenta era velato dalle nuvole.
«Beh, io scendo. Buona giornata.»
«Buona giornata.» rispose Elena.
«Ah, se hai ancora intenzione di denunciarmi troverai il mio biglietto da visita nella tua borsa.» Jan sorrise e se ne andò in fretta.
Elena cacciò la mano nella borsetta e ne estrasse un biglietto bianco.
”Jan Fazzi, designer e creativo” lesse mentalmente.
Un leggero sorriso le si disegnò sul viso mentre pensava che quel tipo poteva fare solo quel mestiere.
I suoi capelli, che sembravano tagliati a casaccio, rivelavano una personalità sicuramente disordinata e lei col disordine non ci andava a nozze, amava la precisione oltre ogni altra cosa.
Il viaggio proseguì con il solito ricambio di esseri più o meno decenti a ogni stazione e il treno arrivò al capolinea, finalmente poté scendere da quella sorta di carro bestiame e tornare all’aria aperta.
Il pensiero andava in continuazione a Jan, aveva ripreso in mano il biglietto un’infinità di volte ma si era guardata bene dall’usare il numero di cellulare, tra l’altro il capo treno non si era fatto più vedere; come lei aveva previsto.
Il giorno successivo, Elena, cercò Jan percorrendo tutto il treno, voleva essere lei a spiare lui. Di Jan nessuna traccia e non lo trovò nemmeno i giorni successivi. Le restava solo il biglietto da visita e provò a chiamarlo, ma il numero risultava irraggiungibile.
Jan era diventato un’ossessione, un pensiero fisso che non le dava tregua e finché non avesse avuto la possibilità di passare un po’ di tempo con quel ragazzo, il tarlo avrebbe continuato a far danni.
Doveva leggere nuovamente quegli occhi e capire se stava sbagliando.
Il primo giorno d’estate arrivò accompagnato da un forte temporale, il treno viaggiava verso il cielo nerissimo punteggiato di strane nuvolette candide, Elena era come sempre in piedi, un tizio sulla trentina le aveva dato uno spintone per guadagnarsi la poltroncina e lei aveva quasi ceduto alla voglia di mollargli un ceffone. Così era nel corridoio, mischiata ad altre persone, una donna puzzava d’aglio in maniera insopportabile e i pensieri di Elena erano sempre orientati a Jan.
Un ragazzo imprecò da qualche parte nel vagone, qualcosa si schiantò sull’involucro esterno, due finestrini si distrussero. Il treno rallentò improvvisamente, alcuni caddero sul pavimento, una donna iniziò a gridare. La corsa del mezzo diventò pazza, Elena sentiva il vento investirla in pieno viso, si accorse che qualcosa non andava, il vagone era inclinato leggermente verso sinistra. L’istinto le suggerì di spostarsi più avanti, gattonando raggiunse una ragazzina terrorizzata aggrappata a un sedile.
La gente era impietrita al proprio posto, la carrozza si ribaltò sul fianco probabilmente seguita dal resto del treno, la corsa terminò alcuni secondi dopo tra lamenti e singhiozzi.
Elena era capitata sul lato giusto, non si era ferita e non era stata schiacciata dalle altre persone.
Trovò il modo di rimettersi in piedi, anche se non era facile, la ragazzina minuta non parlava, le tese la mano destra e l’aiutò ad alzarsi. Diverse persone iniziarono a muoversi cercando di raggiungere le uscite, scavalcavano sedili con la frenesia dei ratti che abbandonano la nave che affonda.
Nessuno si interessava dei feriti.
Elena adocchiò il martello frangi vetro e l’usò maldestramente per distruggere un finestrino che in quel momento era diventato il soffitto, pulì la zona del passaggio dai frammenti e si arrampicò su una delle poltrone per raggiungere l’apertura. Si issò all’esterno e si tirò dietro la ragazzina bionda evidentemente in stato di shock.
Fuori c’erano già diverse persone che vagavano a casaccio tra vento, pioggia e lacrime. Percorse il vagone alla ricerca di un posto per scendere a terra, sotto di lei vide persone immobili e sangue, nessuno sembrava interessato ad aiutare gli altri.
Provò a chiamare i soccorsi ma non c’era verso di ottenere la linea, si guardò intorno e scoprì che era pieno di gente col cellulare in mano.
La ragazzina bionda le stava attaccata alla mano senza dire una parola, la camicetta era già inzuppata d’acqua e i pantaloni a righe non erano da meno, Elena iniziava a sentire freddo e ogni raffica di vento rischiava di farla cadere dal vagone. Arrivò alla fine della carrozza e riuscì trovare un modo per scendere, aiutò la sua compagna d’avventura che schizzò via correndo in mezzo all’esodo umano.
La gente sembrava posseduta da una forma di menefreghismo collettivo, tra l’altro non si vedeva l’equipaggio del treno da nessuna parte.
Non poteva stare a guardare, era più forte di lei, doveva intervenire.
Osservò il treno adagiato sul fianco, alcuni alberi erano caduti nella zona, anche dei tralicci dell’alta tensione erano stati sradicati dal vento. Si rese conto che probabilmente erano stati investiti in pieno da una tromba d’aria.
Notò alcune persone ferme, osservavano senza fare nulla, una la conosceva.
«Jan!» si mosse velocemente verso il ragazzo.
«Jan! Dove eri finito? Ti ho cercato per una settimana intera.»
«Tu puoi vedermi allora…»
«Certo che posso vederti.» Elena non capiva cosa stesse dicendo Jan «Perchè non fai niente, ci sono persone da aiutare.»
«Io non posso.» Jan teneva le mani in tasca ed era vestito esattamente come il giorno che lo aveva incontrato. «Noi possiamo solo osservare.»
Lo sguardo era triste, Elena non sapeva cosa gli passasse per la testa.
Il vento aumentò di intensità, qualsiasi cosa si mise a volare intorno a loro, molte persone erano ancora nei vagoni.
«Beh, io non posso stare a guardare. I soccorsi non sono ancora arrivati.»
«Non muoverti!» gridò Jan.
Una lamiera, presa chissà dove dal vento, si schiantò due o tre metri più avanti.
«Possiamo prevedere, ma non intervenire. Li vedi gli altri?»
Elena si guardò attorno e notò altre figure immobili.
«Sì.»
«Questo è il tuo dono.»
«Io non capisco.»
«Elena, io sono morto il giorno stesso in cui ti ho parlato la prima volta.»
Elena rabbrividì, aveva il terrore di morire.
«Sento che sto per essere trasportato da un’altra parte.»
«Ma come è possibile? Come puoi parlarmi e ascoltare?»
«Non lo so, in questi vostri giorni passati ho solo capito che devo osservare la cattiveria umana nelle sue varie forme, appena arrivo in un posto so già cosa accadrà e come finirà, ma non posso fare niente. Per me ora il tempo è infinito.»
Elena fu assalita dalla tristezza di non poter conoscere meglio Jan.
«Ci rivedremo?»
«Non lo so, non sono io a decidere dove andare. Vengo spostato a caso da un posto all’altro per osservare qualcosa di cattivo.» Jan spostò lo sguardo verso un vagone «Ecco, guarda là.»
Elena osservò il punto indicato. Una ragazza stava uscendo da uno dei finestrini rotti, appena fu in piedi sul fianco del vagone un uomo emerse da dietro e per farsi spazio la gettò giù dall’altro lato del treno.
«No…» Elena fissò il terreno.
«E’ questo che sono costretto a vedere.»
«Io non posso restare a guardare, ora vado dentro!»
«Non farlo.»
Elena si convinse che Jan fosse in pensiero per lei.
«Morirei?»
«Forse, ma non succederà. Le vittime saranno ventitre e i feriti centocinquantadue.» Jan spostò lo sguardo verso la testa del treno «E ora stanno arrivando i soccorsi. Aiutali con la ragazza di prima, è una dei feriti gravi. L’uomo sarà arrestato e morirà tra due mesi in carcere.»
«Ora è il momento che vada.»
«Jan, hai visto anche il mio destino?»
«Sì, ma non ti dirò nulla.» Jan fissò il cielo, la pioggia era ancora intensa, ma intorno a lui il terreno era asciutto. «Però ora so che altri possono vedermi, forse la mia missione è salvare chi lo merita.»
«Jan…» Elena si abbandonò alle lacrime, Jan sparì nel nulla.
I soccorsi arrivarono con grande numero di volontari, Elena corse incontro ad alcuni sanitari e li portò subito dalla ragazza che era stata buttata giù dal vagone e poi raccontò tutto alle forze dell’ordine, i pompieri erano impegnati a tagliare le lamiere dei vagoni per poter raggiungere i feriti, il vento sembrava inarrestabile.
La sera arrivò in fretta, Elena lucidava i suoi orologi in silenzio nella pace della sua casa, sua madre le raccontò che la televisione aveva parlato dell’incidente, i numeri che le aveva dato Jan erano esatti.
La mattina seguente prese il treno come al solito, giunta a destinazione osservò le persone che erano in strada e notò subito una donna ferma che guardava nella sua direzione. Poco distante una signora anziana finì in terra strattonata da un tizio che le rubò la borsa. Elena osservò l’aggressore correrle di fianco senza curarsi della strada, la corsa finì sul parabrezza di un’auto.
Da quel giorno Elena osservò ogni persona per la strada e nei posti pubblici sperando di rivedere Jan, ma del suo angelo nessuna traccia.

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